Repliche «non adeguate alla gravità del caso» dal sindaco Enzo Bianco e «nessun cenno di risposta» dalla prefetta di Catania Maria Guia Federico. È per questo che il vicepresidente della commissione nazionale Antimafia Claudio Fava ha deciso di rivolgersi direttamente al ministro dell’Interno Angelino Alfano, affinché intervenga sulla presunta ombra della mafia sul consiglio comunale etneo. Un caso scoppiato a seguito di una relazione della commissione regionale antimafia presieduta da Nello Musumeci e inviata all’omologa nazionale e alla procura di Catania. Sono otto i nomi dei consiglieri etnei sui quali l’Ars ha indagato in modo diverso: Erika Marco, Salvatore Giuffrida, Salvatore Spataro, Alessandro Porto, Maurizio Mirenda, Francesco Petrina, Riccardo Pellegrino e Lorenzo Leone. Ma è su questi ultimi due – che hanno smentito con forza ogni condizionamento della criminalità organizzata – che Fava concentra oggi la sua attenzione.
L’interrogazione è stata depositata ieri (qui il documento pubblicato sul sito della Camera) e anticipa una visita di Fava nel capoluogo etneo, fissata per venerdì alle 11.30, nella sede di Addiopizzo Catania. Il deputato nazionale, intanto, chiede al numero due del governo «di assumere ogni ulteriore informazione sui fatti esposti». Che riguardano, nello specifico, Pellegrino e Leone. Il primo, consigliere comunale di Forza Italia, è fratello di Gaetano Pellegrino, ritenuto dagli inquirenti elemento di spicco del clan dei Mazzei e sotto processo davanti al tribunale di Catania. Tra le prove dell’accusa anche un’intercettazione telefonica in cui professerebbe fedeltà al boss Nuccio: «Se domani mi dice “Devi ammazzare mia moglie”, Enza, io ti ammazzo», dice parlando con la compagna del Carcagnuso. «Dalla relazione si evince», scrive Claudio Fava, che il quartiere di «massimo consenso elettorale» per Pellegrino coincide con l’area di «conclamata influenza del gruppo mafioso» dei Mazzei: San Cristoforo.
Stesso discorso vale per Lorenzo Leone, di Articolo 4, che ha il suo zoccolo duro di elettori nella periferia sud di Catania, al centro del quartiere popolare di Librino. Il presidente della municipalità è fratello di Gaetano, condannato «con sentenza irrevocabile» per associazione mafiosa e appartenente ai Santapaola. Secondo i giudici, Gaetano Leone riscuoteva il pizzo per la famiglia proprio tra i palazzoni popolari di Librino. Di questa parentela, però, Lorenzo Leone non ha scritto nell’autocertificazione antimafia pre-elettorale, come non mancano di fare notare i deputati Ars. I cui rilievi sono stati esposti al sindaco Bianco il 16 gennaio, nel corso di un’audizione all’Antimafia nazionale convocata per chiedere chiarimenti sull’intercettazione con l’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo. Una conversazione telefonica, svelata da MeridioNews, il cui argomento principale – secondo i carabinieri – era il Pua, il piano urbanistico attuativo-variante Catania sud sulla cui realizzazione peserebbero gli interessi di Cosa nostra.
Dopo la convocazione di Enzo Bianco a Roma e le sue spiegazioni, che Claudio Fava non ritiene soddisfacenti, è stata chiamata in causa la prefetta Maria Guia Federico. «Per chiedere di valutare l’opportunità e l’urgenza di nominare una commissione di accesso al Comune di Catania – prosegue l’onorevole – In modo da verificare quali conseguenze la permanenza dei consiglieri succitati possa aver determinato sull’andamento dell’attività amministrativa e se vi sia un condizionamento mafioso di tale attività». E se in un primo momento si sarebbe addirittura vagliata l’ipotesi pure di un commissariamento di Librino, niente è stato fatto. «Né risulta che sia stata disposta la commissione d’accesso sollecitata». E se non lo fa il governo cittadino, allora Fava chiede che lo faccia il governo nazionale. Domandando ad Angelino Alfano di «promuovere iniziative per l’esercizio dei poteri di accesso e di accertamento che la legge attribuisce» al ministro dell’Interno.
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