Mafia, imprenditore denuncia dopo 11 anni Sette arresti nel clan Santapaola-Ercolano

Per dieci anni ha pagato gli uomini del clan Santapaola. Regali fissi a Pasqua, Natale e per le festività, tangenti all’apertura di ogni nuovo cantiere, somme perfino quando gli stessi che promettevano di proteggerlo in cambio del pizzo, gli hanno rubato i mezzi chiedendogli il classico cavallo di ritorno. Un incubo iniziato nel 2002 e concluso lo scorso 4 marzo. Quando l’imprenditore non ancora quarantenne di Paternò ha deciso di dire basta e ha chiamato i carabinieri. Lo ha fatto d’istinto, dopo essere stato picchiato per l’ennesima volta e mentre stava fuggendo dai suoi aguzzini. Sono bastati quattro giorni alle forze dell’ordine per trovare i riscontri alle sue dichiarazioni e ad arrestare stamattina sette persone, presunti affiliati ai Santapola-Ercolano, punti di riferimento del clan nel quartiere Picanello di Catania e a Paternò.

Si tratta di Domenico Filippo Assinnata, 61 anni, ritenuto dagli investigatori il referente del clan Santapaola-Ercolano a Paternò, suo figlio Salvatore, 41 anni, Salvatore Chisari, 35 anni, Rosario Indelicato, 49 anni, Pietro Puglisi, 39 anni, e i catanesi Lorenzo Pavone, 43 anni, e Salvatore Scuderi, 50 anni, referenti a Picanello. Le indagini sono state condotte dal comando provinciale dei carabinieri di Catania, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia della Procura etnea.

Il giovane imprenditore era diventato il bancomat dell’organizzazione criminale. La prima richiesta di pizzo risale al 2002 quando vince un’importante gara d’appalto per 600mila euro nel Calatino. Da allora le richieste si fanno continue, piccole somme ma costanti. «Ogni volta che lo incontravano per strada era costretto a pagare dai 200 ai 500 euro – spiega il colonnello Giuseppe La Gala – Volevano sempre una carta viola (quella da 500 euro), altrimenti si lamentavano». «Una mungitura continua, un animale da sfruttare», sottolinea La Gala.

A Paternò era nelle mani degli Assinnata. Sono loro che, quando l’imprenditore comincia a lavorare anche a Catania, gli dicono a chi rivolgersi per pagare il pizzo. Esattamente a Pavone e Scuderi, i referenti del clan Santapaola a Picanello. Per ogni appalto una tangente del due o del tre per cento da versare a Cosa Nostra. Che però sbaglia a portare l’uomo sull’orlo del baratro. La svolta avviene nei primi giorni di marzo. I suoi stessi protettori rubano da un cantiere materiale per un valore complessivo di 40mila euro. L’imprenditore va a lamentarsi con gli Assinnata: «Ma come? Io pago per stare tranquillo, queste cose non dovrebbero succedere». Per riavere indietro i mezzi gli impongono un pagamento di 6mila euro. La vittima versa la prima rata di 3mila euro, ma si rifiuta di pagare anche la seconda. Da questa resistenza deriva l’ennesimo pestaggio subito lunedì mattina sul lungomare di Ognina. L’uomo fugge e, disperato, chiama il 112.

«Grazie al collegamento diretto tra la Procura e i carabinieri siamo stati rapidissimi – spiega il procuratore capo Giovanni Salvi – La prima nostra preoccupazione è stata garantire la tutela dell’imprenditore, è questo il messaggio che vogliamo lanciare: chi denuncia può contare sul sostegno delle istituzioni».

Gli arrestati:

 


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Dal 2002 fino a lunedì scorso è stato il bancomat del clan catanese: somme fisse tra i 200 e i 500 euro, tangenti sugli appalti, cavalli di ritorno. Il titolare di un'impresa, dopo l'ennesimo pestaggio sul lungomare di Ognina, ha deciso di denunciare i suoi estorsori. I carabinieri hanno impiegato quattro giorni per trovare i riscontri e arrestare sette presunti affiliati, tra cui Domenico Assinnata, referente della famiglia a Paternò. «La nostra prima preoccupazione è garantire la tutela di chi collabora», ha spiegato il procuratore Giovanni Salvi

Dal 2002 fino a lunedì scorso è stato il bancomat del clan catanese: somme fisse tra i 200 e i 500 euro, tangenti sugli appalti, cavalli di ritorno. Il titolare di un'impresa, dopo l'ennesimo pestaggio sul lungomare di Ognina, ha deciso di denunciare i suoi estorsori. I carabinieri hanno impiegato quattro giorni per trovare i riscontri e arrestare sette presunti affiliati, tra cui Domenico Assinnata, referente della famiglia a Paternò. «La nostra prima preoccupazione è garantire la tutela di chi collabora», ha spiegato il procuratore Giovanni Salvi

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