Lui è uno dei responsabili dell’omicidio di Libero Grassi e uomo di fiducia del mandamento di Resuttana. Non viene mai ufficialmente affiliato, però, perché a macchiare la sua fedina è un disonore dovuto alla cognata e al suo amante. «Ero di famiglia, se la facevano tutti da me»
Mafia, Favaloro: l’uomo d’onore senza la punciuta Il pentito: «Io ero u spiccia faccende dei Madonia»
«Ho fatto la mia scelta e ho iniziato a collaborare, capace ca ora fussi a me casa, però mi sono pure risentito per cose mie personali». È il 1995 quando Marco Favaloro spiega al processo per la strage di via D’Amelio i motivi che l’hanno spinto, a dicembre del ’92, a pentirsi. «Adesso potrei dire milioni di cose, diciamo solo che mi volevo dissociare», risponde ai magistrati di Roma che lo incalzano con le prime domande. Non è un uomo d’onore, però, Favaloro. Anche se della famiglia Madonia e del mandamento di Resuttana conosce ogni segreto. «Non ero combinato, signor giudice – racconta – però ero molto vicino, non mi mancava niente, ero diretto col mandamento a cui appartenevo». Nessuna punciuta, quindi. Eppure la fiducia nei confronti di questo insolito affiliato a Cosa nostra è tanta.
«Avevo rapporti molto stretti con queste persone, conoscevo tutti, ero pure uno di famiglia perché c’andavo anche a casa – dice, quasi vantandosi – e tutto quello che mi comandavano io cercavo di farlo, insomma di risorbiriccillu». Per i Madonia, in effetti, è pronto a prestarsi a qualsiasi richiesta: dai semplici furti di auto alle intimidazioni: «Se mi dicevano “brucia sta putia”, io eseguivo, non mi interessava chiedere il perché. Quindi bruciavo cose, mettevo pure qualche bumma». Gli omicidi però non vengono discussi insieme a lui, ma se capita di parlarne in sua presenza nessuno dice niente. E a qualcuno di questi, in realtà, partecipa pure: è il 1991 quando si trova al volante dell’auto con a bordo il killer di Libero Grassi, Salvino Madonia.
Sembrerebbe un affiliato come tutti gli altri, insomma. Se non fosse per un disonore che, di riflesso, ha sporcato la sua famiglia e più d’una generazione. Un solo peccato, e nemmeno suo: la cognata aveva tradito il marito, suo fratello. «Per Cosa nostra se uno non è pulito fino alla settima generazione non può farne parte – racconta con rammarico – Però quando mi cercavano dovevo essere a disposizione, dovevo volare sennò mi scippavano a tiesta». Tuttavia, potrebbe esistere un modo per lavare via quella macchia che, malgrado la fiducia e gli incarichi, lo lascia ai margini del mandamento: uccidere i due peccatori, cognata e amante. O, almeno, è questo quello che gli lascia intendere Vincenzo Galatolo, boss dell’Acquasanta. «Con i Madonia io sti discursi un l’avutu mai – precisa Favaloro – Mai ricevuto questo ordine». Non se n’è fa niente, quindi.
Così Favaloro resta un uomo di Cosa nostra, pur non prestando mai un particolare giuramento. Ma appartiene alla mafia, forse più di tanti rispettabili boss. «Se la facevano tutti da me gli uomini d’onore, perché sapevano che io ero in contatto diretto col mandamento, che ci camminavo insieme, non so se mi spiego – puntualizza – E magari io sapevo pure delle cose che loro manco sapevano». E se decisioni e informazioni non passano direttamente da lui, gli basta chiedere. Quando Madonia si presenta con qualcuno di nuovo, per sapere se uomo di fiducia o meno, è un attimo: «Domandavo e mi rispondevano che era un fratuzzu e allora io capivo subito. Altrimenti, era un aranci in tierra».