Il capo della Procura di Messina, Guido Lo Forte, commenta l'operazione Senza Tregua, che stamani ha portato all'arresto di 23 persone. Il gruppo, attivo nel campo delle estorsioni e del traffico di droga, era guidato da Antonio Foraci. Detto il calabrese, per i rapporti con la 'ndrangheta
Mafia dei Nebrodi, decimata famiglia dei Tortoriciani Procura: «Indagine non riguarda agguato ad Antoci»
Era detto il calabrese, ma non perché le sue origini fossero da rintracciare al di là dello Stretto. L’appellativo per Antonio Foraci – uno dei 23 arrestati nell’operazione Senza tregua, condotta dalla squadra mobile di Capo d’Orlando e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina – deriva dai rapporti che intratteneva con la famiglia ‘ndranghetista Nirta–Strangio. Relazioni che Foraci, esponente in forte ascesa nel clan dei Tortoriciani, avrebbe contribuito a saldare dopo i primi contatti avvenuti in carcere tra il messinese Massimo Rocchetta e un uomo dei Nirta-Strangio.
Secondo la ricostruzione dei magistrati, la figura di Foraci inizia ad affermarsi nel momento in cui comincia a gestire gli affari del clan dopo che gli esponenti dei Bontempo Scavo – storici capi nel centro del Messinese – si trovano in carcere. Gestione che porta risultati concreti, come nel caso di un’estorsione da fare ai danni di un’azienda dei Nebrodi che si era aggiudicata un appalto in Calabria. «Una mafia non più divisa all’interno tra Tortoriciani e Batanesi e che non ha più il condizionamento della mafia barcellonese ma ha rapporti diretti con la ‘ndrangheta e la mafia catanese», commenta il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte.
Le indagini hanno riguardato le attività del clan nel periodo compreso tra settembre 2013 e dicembre 2014. Si tratta della seconda inchiesta sulla mafia tortoriciana. La prima, denominata Rinascita, aveva già inferto un duro colpo ai clan attivi tra i Nebrodi e il litorale tirrenico. Stavolta gli inquirenti si sono mossi dopo l’arresto di quattro persone durante un tentativo di estorsione ai danni di un locale notturno di Capo d’Orlando. È nel corso dei dialoghi intercettati che emerge la nuova leadership di Foraci. L’asse siculo-calabro riguardava perlopiù il mercato degli stupefacenti, con la Calabria a fungere da base di approvvigionamento per il clan messinese. Per gestire gli affari, Foraci avrebbe fatto affidamento anche sui parenti più stretti – a partire dalla moglie Calogera Rina Costanzo e dal figlio Cristian – e dal fedelissimo Giovanni Montagno Bozzone.
Nonostante le tempistiche ravvicinate, l’operazione non ha riguardato le vicende legate al Parco dei Nebrodi, il cui presidente Giuseppe Antoci meno di due settimane fa è stato vittima di un attentato. A smentire ogni relazione è lo stesso Lo Forte. «Non ci sono collegamenti diretti tra questa operazione e l’attentato», sottolinea. Anche se, a domanda diretta circa i possibili interessi degli arrestati anche nel settore dei pascoli e dei finanziamenti europei da parte di società riconducibili ai clan mafiosi, il procuratore di Messina si mantiene cauto. «Sul possibile collegamento tra gli arrestati e i terreni sequestrati e oggetto di interdittive non rispondo perché ci sono indagini in corso».
Tuttavia, a creare un collegamento tra quell’episodio e l’operazione di oggi è il ministro degli Interni Angelino Alfano. «A pochi giorni dal grave attentato nei confronti del presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, la polizia ha inferto un colpo durissimo a una cosca mafiosa operante nella zona dei Nebrodi. Si aspettavano forse uno Stato che si sarebbe limitato a festeggiare il fallito agguato? Si sono sbagliati», commenta il capo del Viminale.
L’inchiesta Senza tregua ha riguardato anche un altro gruppo attivo nel traffico di stupefacenti. Guidato da Gaetano Calogero Cambria Zurro, si basava sulla capacità di Vincenzo Corda – palermitano ma con residenza a Sant’Agata di Militello – di procacciare la droga.