L'udienza preliminare si terrà il 17 luglio. E forse allora si saprà se per il decesso di Valentina Milluzzo chi l'ha avuta in cura all'ospedale Cannizzaro, dove ha perso la vita, sarà rinviato a giudizio. È l'ultima novità sul caso della 32enne di Palagonia
Madre e gemelli morti, chiesto il processo per 7 medici Per i magistrati «imprudenza, negligenza e imperizia»
L’udienza preliminare si terrà il 17 luglio e allora si saprà se per la morte di Valentina Milluzzo i medici dell’ospedale Cannizzaro che l’hanno avuta in cura dovranno affrontare un processo. È l’ultima novità sul caso della donna di Palagonia, impiegata di banca di 32 anni, deceduta il 16 ottobre 2016, poche ore dopo avere dato alla luce i due gemellini che portava in grembo da cinque mesi. Gli indagati, in totale, sono sette: il primario del reparto di Ginecologia Paolo Scollo; i dirigenti medici Silvana Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Distefano e Vincenzo Filippello; l’anestesista Francesco Cavallaro. L’accusa ipotizzata dalla procura di Catania è di omicidio colposo in concorso. Secondo i magistrati, tutt’e sette «in concorso e cooperazione tra loro, causavano per colpa il decesso della gestante Valentina Milluzzo, ricoverata nel reparto di Ginecologia a partire dal 29 settembre 2016 per minaccia d’aborto in gravidanza gemellare».
Per l’accusa, Milluzzo sarebbe morta per «imprudenza, negligenza e imperizia» di chi l’ha assistita nell’ultimo periodo del suo ricovero. In particolare, il 14 ottobre – data in cui sarebbero arrivati i risultati di un tampone vaginale che le era stato somministrato – i medici non avrebbero somministrato alla 32enne una terapia antibiotica adeguata; il giorno dopo, non sarebbe stata «tempestivamente» riconosciuta l’infezione in corso, e non avrebbero continuato a dare alla 32enne i giusti antibiotici, né avrebbero raccolto i campioni «per gli opportuni esami microbiologici, che avrebbero potuto significativamente diminuire la probabilità della successiva evoluzione dell’infezione verso uno shock settico». Gli ultimi due punti su cui si concentrano i magistrati sono la mancata tempestiva rimozione della fonte dell’infezione, dei feti e della placenta; e infine la mancata somministrazione di globuli rossi durante l’operazione eseguita tra il 15 e il 16 ottobre 2016.
Per ripercorrere i passaggi fondamentali di questa storia bisogna ritornare al 29 settembre 2016, quando Milluzzo viene ricoverata al Cannizzaro. Il primo aborto spontaneo si verifica la notte del 15 ottobre, alle 23.30. Il secondo parto abortivo si registra all’1.40 di domenica mattina. La mamma, invece, muore nelle prime ore del pomeriggio di domenica 16 ottobre, dopo essere stata trasferita in gravi condizioni nel reparto di Rianimazione del Cannizzaro. Deceduta, secondo quanto riferito dai medici, per una «sepsi con crisi emorragica dovuta a un’infezione». La stessa che, secondo i magistrati, non sarebbe stata adeguatamente riconosciuta e a cui sarebbe collegata anche l’altra presunta omissione, relativa all’accusa della mancata raccolta dei campioni per cercare di ridurre la setticemia.
Agli atti dell’indagine c’è anche la consulenza tecnica di parte, depositata il 31 marzo 2017 dai tre esperti dell’università romana di Tor Vergata, nominati dalla procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro. Si tratta del medico legale Gian Luca Marella, dall’infettivologo Antonio Volpi e dal ginecologo Carlo Ticconi. Il loro lavoro ha puntato a chiarire «l’accertamento di causa, mezzi ed epoca del decesso di Valentina Milluzzo e dei feti da ella portati in grembo». Dopo due anni dalla morte della donna, la questione arriva nelle aule di piazza Verga. A decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dai sostituti procuratori Martina Bonfiglio e Fabio Saponara sarà la giudice per l’udienza preliminare Giuseppina Montuori.