L’università, i crediti e l’asino

Chi non conosce la storiella dell’asino che si scoprì capace di non mangiare per un giorno, due giorni, sei giorni di seguito e poi il settimo morì fra lo stupore addolorato del suo ex felicissimo padrone, al quale non pareva vero di avere in stalla una bestia capace di lavorare senza mangiare?

Oggi questa storia si attaglia perfettamente al destino riservato all’Università italiana. Volete che ve lo dimostri? Non è difficile, basta dare una occhiata alla “parabola dei crediti” (un’altra storiella in piena regola).

Innanzitutto, giusto per capirci, debbo informarvi (per chi non lo sapesse) che un Credito Formativo universitario (CFU) è la quantità di impegno di studio corrispondente, per uno studente medio, a 25 ore, suddivise fra “lezioni frontali” (ovvero lezioni in aula), laboratori, lezioni esterne, studio individuale (“a casa”).

Il Consiglio del Corso di Laurea decide la ripartizione delle attività nell’ambito di un CFU e pubblica la decisione nel Regolamento Didattico del Corso.

Ora, è sufficiente prendere nota dell’andamento della consistenza del CFU nel tempo.

Quando si iniziò, era l’epoca dell’istituzione dei corsi triennali voluti dalla riforma dell’Università tratteggiata dal D.M. 599/99, molti Consigli decisero che 1 CFU dovesse contenere almeno 10 ore di lezioni in aula. Successivamente, “per diminuire il carico di studio”, taluni passarono a 8 ore in aula e 17 (25 – 8) fra altre attività di studio e studio a casa. Ora molti sono costretti a scendere ancora e non certo perché lo vogliono, bensì per la situazione economico-finanziaria sempre meno sostenibile nella quale l’Università è stata cacciata.

Certo, la speranza è che lo Studente, diversamente dall’asino che morì dopo non essere stato tanto male nei primi giorni di digiuno, possa passarsela bene senza incorrere nel tragico finale. E in effetti, cosa di meglio per lui se non sempre meno ore e sempre più tempo per stare a casa?

Quale potrebbe essere il finale di una storiella basata non più sulla biada sottratta al simpatico quadrupede eroe di tante storielle, bensì su un sapere sempre meno impartito? Semplice: dopo anni di frequenza che saranno comunque difficili e costosi – se preso seriamente lo studio universitario è e rimarrà un lavoro non poi tanto facile – tanti  Studenti si ritroveranno una laurea che varrà ben poco. Ai posti di comando delle grandi società o dei grandi studi di professionisti troveranno insediati laureati di Atenei prestigiosi, stranieri, ma anche italiani. E loro, al massimo svolgeranno quelle mansioni oggi assegnate a subalterni di poca cultura.

Il sistema Paese, nel frattempo, continuerà ad impoverirsi perché le imprese, specie nei territori lontani dai grandi movimenti economici, continueranno a “divorare se stesse”, non essendo in grado di produrre innovazione. Ciò per mancanza di capitali, di spazi di manovra e di laureati in grado seriamente di produrre e gestire innovazione.

Può fare qualcosa un singolo Ateneo? Ben difficilmente lo potrà un grande Ateneo del sud imbrigliato nelle reti che nel tempo si è avvolto addosso e immerso esso nelle pastoie di un sistema economico che va sprofondando.

Potrebbe fare qualcosa un polo universitario giovane, immerso in un’area economica ancora a galla ed in un tessuto sociale ancora sano?

Certo. Potrebbe. Coniugando didattica, ricerca, impresa e territorio e privilegiando questi fattori al posto di quelli, inutili ed usurati, tutti imperniati sull’autoreferenzialità. Impegnandosi allo stremo a diffondere se stesso all’esterno attraverso docenti e studenti e compiendo ogni sforzo per attrarre dall’esterno studenti e docenti. Non da domani e non aspettando soldi e finanziamenti e risorse, bensì ora stesso, utilizzando la propria cultura per la più efficace delle azioni: riorganizzare l’esistente secondo obiettivi definiti. Si deve fare e si può fare. Ora stesso.

[Pubblicato col titolo: “Ragusa – L’Università i Crediti e l’Asino: quale futuro?” su www.sciclinews.com. Giampaolo Schillaci è professore ordinario di “Meccanizzazione agricola” presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Catania]


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