Che ci fa a Cambridge un dottorando in linguistica italiana e romanza di Mussomeli? Inizia oggi il nostro viaggio tra coloro i quali hanno deciso di andare via dall'Italia per studiare, insegnare, fare ricerca- Mille testimoni scomodi
Lordine di Montalbano secondo Silvio
Ho appuntamento con Silvio in un caffé che si chiama Clowns ed è gestito da italiani: un signore gioviale emigrato molti anni fa e sua figlia che ti parla con vocali ugualmente apertissime e solari sia in inglese sia in italiano, apostrofandoti “bella”.
Silvio, che avevo incontrato solo una volta prima di adesso, è un siciliano di Mussomeli scuro e altissimo, che alla mia richiesta “Cosa prendi?” risponde semplicemente “Cioccolata. Con panna.”. Il nostro primo dialogo sull’essere siciliani e italiani all’estero verte sull’opportunità o meno di bere il cappuccino dopo pranzo. Per lui è una bestemmia culturale. Io invece, forte di un’intolleranza al caffé non accompagnato, mi accontento di farmi dare dell’italiana imbastardita e mi godo la mia piccola tazza fumante e cosparsa di polvere di cioccolato.
Silvio sta per completare un dottorato in linguistica italiana e romanza. Prima ha studiato Scienze della Comunicazione a Siena, ma aveva cominciato i suoi studi a Palermo. Questo suo nomadismo mi incuriosisce e mi dico che dev’essere stato motivato da voglia di fuggire.
Silvio, da Palermo a Siena e da Siena a Cambridge. Avevi voglia di fuggire?
In verità no. Volevo fare Scienze della Comunicazione e ho cominciato a Palermo perché lì si erano iscritti molti dei miei amici. I disservizi e gli aspetti negativi dell’università siciliana li ho constatati solo in seguito, quando mi sono trasferito a Siena. Per essere sinceri, le aule erano più affollate a Siena che a Palermo: molte delle lezioni a Siena si tenevano nei cinema, non proprio un luogo che ti invoglia a studiare! Questo nella facoltà di Palermo non è mai successo.
E il trasferimento a Cambridge? Fuga dall’Italia?
No. Quando mi sono laureato in linguistica avevo intenzione di proseguire con un dottorato, ma il concorso a Siena sarebbe stato solo dopo molti mesi e il mio professore mi ha consigliato di usare il tempo per fare un’esperienza all’estero. Sono venuto a Cambridge con un piccolo programma di scambio e mentre ero qui mi hanno proposto di provare a fare domanda per un dottorato. All’inizio non potevo crederci! Come: io, a Cambridge? Mi sembrava impossibile. Quando la mia domanda è stata accettata è iniziato un periodo bruttissimo in attesa di sapere se avrei avuto anche i fondi per sostentarmi
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Spiego a Silvio che su step1 stiamo mettendo su una rubrica di informazioni e testimonianze di chi studia all’estero. Conveniamo che il problema dei fondi è il più spinoso, perché non si può vivere in Inghilterra senza avere una borsa sostanziosa.
Stai per finire il dottorato: progetti per il futuro?
Mi piacerebbe rimanere in Inghilterra, possibilmente con un post-doc. Vorrei continuare a fare ricerca.
Nessuna nostalgia dell’Italia? Intenzione di tornare?
Se tornassi in Sicilia non potrei fare lì ciò che voglio fare, cioè ricerca linguistica. Tornare in Italia sì, forse, ma in futuro. Non mi dispiacerebbe vivere in Italia, ma al momento non ci sono le condizioni perché io possa tornare: chi darebbe lavoro a una persona con un dottorato in linguistica da Cambridge?
Sorridiamo entrambi. Il paradosso è che l’Italia è bravissima a sfornare cervelli e mandarli all’estero a farsi le ossa. Ma nessuno torna, a meno che non sia un professore cinquantenne e pluripremiato.
Ma la Sicilia non ti manca?
Beh certo, qui fa freddo e per esempio la sera la città è vuota, mentre in paese in Sicilia hai sempre l’impressione di fare parte di una comunità. Però io torno spesso. Fare ricerca ti dà la possibilità di gestire il tuo tempo e fare parte del lavoro altrove: per me è il lavoro ideale.
Riesci davvero a studiare e scrivere quando torni a Mussomeli?
Certo, dipende dal periodo. Ci sono sempre visite da fare a zii e zie. (Ridiamo). Ma in genere torno con una valigia piena di fotocopie e qualcosa la combino.
Aiuta il fatto che Silvio, da linguista, si occupa anche di siciliano.
Qual è l’oggetto della tua ricerca di dottorato?
In alcune lingue romanze, così come in siciliano e in sardo, c’è un ordine sintattico standard, ad esempio “Maria beve il caffé”. Ma spesso l’ordine cambia, come in “Il caffé beve Maria”. Ecco, io studio le ragioni e la storia di queste interversioni. In breve: sono uno che fa ricerca sulle frasi alla “Montalbano sono!”
E qui in Inghilterra come ti trovi rispetto all’Italia?
Quello che mi manca è di fare parte di una comunità che condivide lo stesso bagaglio culturale. Per quanto mi sforzi, qui rimango sempre uno straniero: i loro riferimenti culturali (la letteratura, la politica, la musica) sono diversi dai nostri. Cambridge ha una grande comunità internazionale nella quale mi sento a mio agio, ma la mia identità è chiaramente italiana: quando prendiamo una chitarra non conosco metà delle canzoni che loro cantano! Non passa giorno che io non abbia contatti con italiani, sia personali sia via internet. All’inizio cercavo anche di tenermi al passo con l’Italia ascoltando la radio su internet. Adesso quando torno capisco che alcune cose le ho perse: in particolare non sono più aggiornato sui programmi televisivi popolari che, loro malgrado, plasmano così tanto la “cultura” italiana.
A Cambridge c’è una discreta comunità italiana. Hai incontrato molti siciliani?
Ne conosco solo tre, ma forse ce ne sono di più. La maggior parte degli italiani, sia nel mio college sia in tutta l’università, vengono da Roma in su. Ci sono moltissimi romani, milanesi, liguri. Ma pochi siciliani, calabresi, campani eccetera.
Credi che sia un caso o c’è una spiegazione più profonda?
Credo che le università del nord preparino meglio al salto all’estero. Al sud ci sono molte zavorre freni , anche mentali, di atteggiamento.
È vero. Entrambi siamo siciliani ma ci siamo laureati fuori dalla Sicilia (io a Roma, ndA). Forse il meridionale deve prima superare altri ostacoli, quale quello di farsi “accettare” nel resto d’Italia. Apre bocca al nord e il suo accento gli sembra fuori luogo. Si aggira per una città del nord e molte cose gli paiono diverse, forse anche “migliori”. Questa è senz’altro una zavorra: sembra quasi che l’estero sia un mondo troppo bello perché possa accettare i meridionali. Gli studenti del nord, invece, si sentono già in un certo senso cittadini d’Europa.
Cosa vorresti dire a uno studente del Sud Italia che voglia studiare all’estero?
Di non essere timido. Conosco persone che, incoraggiate da me a fare domanda, mi hanno risposto: “Non mi prenderanno mai!”. Invece qui sono aperti e premiano l’entusiasmo, la buona preparazione e la creatività. Tutte qualità che l’università italiana, nonostante tutto, fornisce ai suoi studenti.
Dunque l’università italiana non è poi così penosa?
A livello di preparazione direi di no. Il problema sta nel metodo. In Italia ti fanno studiare diecimila libri per estrarne pure nozioni, nessuno ti insegna ad analizzarle. Qui studiano di meno, ma sviluppano un senso critico e un approccio personale all’analisi che in Italia non esiste. Con queste basi chi è bravo poi diventa bravissimo. Da noi molti bravi si perdono per strada, nella giungla universitaria.
Un’ultima domanda: ma le melanzane per la caponata e la parmigiana tu le trovi qui?
(Alza gli occhi al cielo). Ah. Non è cosa. Hai visto come sono dure? E poi ci vogliono le melanzane viola chiaro, grosse e rotonde, le tunisine. E qui hanno solo quelle lunghe e scure… Niente da fare, la soluzione è portarsele in valigia dalla Sicilia.
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