L’opinione/A Roma un primo passo tutto siciliano

Vogliamo e dobbiamo sperare che una nuova primavera della politica italiana stia davvero rifiorendo tra le macerie e nonostante i continui crolli di un recente passato. La scomposta reazione dei berlusconiani che in queste ultime ore straparlano di occupazione delle istituzioni, per esempio, è l’ennesimo masso scagliato addosso alla politica italiana da chi dimostra di avere in malafede la memoria corta: nel 1994 l’allora maggioranza berlusconiana impose con la forza dei numeri la leghista Pivetti e il forzista Scognamiglio alle presidenze di Camera e Senato. Diciannove anni dopo, in un quadro politico ben diverso, è la logica politica a esprimere i nuovi Presidenti di Camera e Senato e non certo la forza dei numeri.

L’elezione di Piero Grasso e Laura Boldrini significa innanzitutto più Sicilia nelle istituzioni. Grasso, originario di Licata, rappresenta la Sicilia antimafiosa; Boldrini, pur essendo nata a Macerata, conosce bene la realtà siciliana essendosi attivamente impegnata nel fronteggiare l’emergenza sociale a Lampedusa.
La scelta politica di un uomo nuovo e di una donna nuova alla presidenza del Senato e della Camera dimostra, poi, che l’irruzione del M5S provoca un’evoluzione naturale dei partiti sensibili per storia e tradizione ai mutamenti epocali; una provocazione positiva, una contaminazione rigenerativa.
Il sostegno dato dai senatori siciliani del Movimento Cinque Stelle al candidato del Partito Democratico, infine, evidenzia non soltanto la possibilità di esportare a Roma il “metodo Crocetta” ma la maturità culturale di un movimento consapevole del fatto che la politica impone il coraggio delle scelte.
Ci si stupisce della reazione di Beppe Grillo che ha chiesto conto e ragione della loro scelta ai senatori che non hanno votato secondo le indicazioni date dal Movimento. Nulla di nuovo sotto il sole. I contrasti durissimi tra i gruppi parlamentari e i vertici di partito non sono una novità.

Nella Camera dei Deputati di fine Ottocento e del primo Novecento la contrapposizione tra il gruppo dirigente e il gruppo parlamentare del Partito Socialista Italiano era frequentissima; anche don Luigi Sturzo, Segretario del Partito Popolare Italiano, entrò più volte in rotta di collisione con il gruppo parlamentare.

Del resto, quando in Sicilia la Consulta Regionale approvò nel dicembre 1945 lo Statuto siciliano, il deputato comunista Giuseppe Montalbano votò a favore disobbedendo alle indicazioni contrarie date dal Partito Comunista Italiano.
La discussione interna al M5S riproduce, in forme aggiornate, l’antica dialettica tra una tesi e un’antitesi consueta in ogni organismo politico e nella democrazia; che è a rischio solo quando s’innescano meccanismi corruttivi di compravendita di disonorevoli rappresentanti del popolo. La dialettica, invece, è democrazia e da essa origina la sintesi che trasforma l’esistente. Una prima trasformazione è avvenuta. E’ necessario continuare e rinnovare.

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Vogliamo e dobbiamo sperare che una nuova primavera della politica italiana stia davvero rifiorendo tra le macerie e nonostante i continui crolli di un recente passato. La scomposta reazione dei berlusconiani che in queste ultime ore straparlano di occupazione delle istituzioni, per esempio, è l’ennesimo masso scagliato addosso alla politica italiana da chi dimostra di avere in malafede la memoria corta: nel 1994 l’allora maggioranza berlusconiana impose con la forza dei numeri la leghista pivetti e il forzista scognamiglio alle presidenze di camera e senato. Diciannove anni dopo, in un quadro politico ben diverso, è la logica politica a esprimere i nuovi presidenti di camera e senato e non certo la forza dei numeri.

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