Mentre lUnesco linserisce nella lista dei 90 tesori culturali da salvaguardare, questa secolare forma teatrale popolare rivive nelle pagine di due volumi curati da Bernadette Majorana e Donata Amico
LOpera dei pupi, tra passato e presente
Il passato ritorna nel presente e di nuovo compie un viaggio a ritroso per raccontare vicende che riguardano la storia della Sicilia e di Catania, attraverso l’opera dei “pupari”, che diedero vita ad un teatro popolare di grande successo.
La grande importanza di questa antica rappresentazione trova conferma in questi giorni. La scorsa settimana ad Istanbul l’Unesco ha stilato un elenco di novanta tesori della cultura orale e immateriale da salvaguardare poiché appartengono al patrimonio di tutta l’umanità: fra questi c’è spazio per la nostra “opera dei pupi”, accompagnata dal canto a tenore sardo.
Storie e documenti di questa magica messa in scena sono state di recente riprese e raccolte in due volumi di Bernadette Majorana e Donata Amico (Pupi e attori. Ovvero l’opera dei pupi a Catania. Storia e documenti e Teatrar narrando: l’opera dei pupi catanese), due delle più importanti studiose della famosa tradizione teatrale popolare, tramandata per il lavoro dei cantastorie, le cui marionette facevano rivivere personaggi e gesta della famosa “Chanson de Roland”.
I due volumi sono stati presentati lo scorso 30 ottobre, nell’ambito delle “Conversazioni in Sicilia”, incontri letterari organizzati dalla Facoltà di Lettere di Catania.
Alla presentazione è intervenuto, fra gli altri, Antonio Di Grado, professore ordinario di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere di Catania che ha ripreso il filo dei suoi ricordi, intrecciandolo con le sue competenze letterarie: Le famiglie dei “pupari” fanno parte della storia di Catania. La lettura di questi due testi mi fa ripensare ad un teatrino affollato nella zona di Cibali e gli anziani alla villa Pacini che raccontavano ai più piccoli le gesta di Orlando. Donata Amico ci consegna il ritratto di uomini da sempre impegnati nell’ambito socio-politico, oltre che ad una duplice visuale estetica e storica di quel tempo. Il suo è un lavoro completo che non tralascia né il valore della storia, né quello dei testi. Il lavoro della Majorana può definirsi complementare ad esso, poiché ricostruisce le discipline estetiche che ebbero la loro influenza sulla cultura di quel tempo. In questo modo si possono trattare in maniera molto approfondita il passato ed il presente, che confluiscono in un’unica direzione, il sapore artigianale nel quale si incontrano tutte le arti ed i mestieri delle antiche dinastie di Catania, in una sorta di codice facilmente riconoscibile che si manifesta nelle performance dei “pupari”.
Altro punto di vista, stavolta di un addetto ai lavori, è quello di Alessandro Napoli, discendente da una delle più importanti famiglie di “pupari” di Catania: la riscoperta della tradizione, secondo Napoli, “ha inizio quando nel 1977 il Teatro Stabile di Catania organizzò un convegno sull’opera dei pupi. Si collaborava con i “pupari” di quel tempo per adattare lo spettacolo ai tempi moderni. Allora i mezzi erano molto modesti. Oggi invece si potrebbero avere delle grandi possibilità, grazie anche al supporto delle più grandi famigli di “pupari” palermitane e catanesi. Con l’opera della Amico e con quella della Majorana abbiamo una grande testimonianza del teatro di quel tempo. Mentre Donata insiste sul fatto che questo teatro era una sorta di specchio della società del tempo, Bernadette si sofferma su quello che poteva considerarsi il grande valore dell’opera dei pupi, un teatro che accoglieva il popolino, insegnandogli i valori alti della vita”.
Alessandro Napoli si è detto convinto dell’importanza di tramandare alle nuove generazioni il ricco bagaglio di esperienza e arte dell’opera dei pupi catanese e siciliana: “lo splendore del teatro di un tempo è qualcosa che non può e non deve andare perduto”.