Lombardo e il Pd tra errori e pentimenti

Comincia oggi per la Sicilia un’altra settimana politica tutta da decifrare. Difficile capire se le novità emerse negli ultimi quattro-cinque giorni sortiranno effetti. Tutto il quadro politico regionale sembra in movimento. Persino il Pd siciliano – Partito che, fino ad oggi è stato democratico di nome, ma non di fatto – comincia a muoversi. Così, almeno, lascerebbero intendere i vertici, preoccupati – e a ragione – di non essere più sintonizzati non solo e non tanto con la propria base elettorale, ma con l’intera società siciliana.

L’unico che non si muove è il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. Che, da quando si è insediato – primavera del 2008 – di tutto si è occupato, tranne che di amministrare. Con il suo atteggiamento, con il suo stile, con i suoi atti Lombardo ha dimostrato che si può sconvolgere il quadro politico lasciando inalterati i problemi. O aggravandoli.

Il presidente della Regione, dal 2008 ad oggi, ha avuto  disposizione un quantitativo impressionante di risorse finanziarie. Con freddezza e scientemente ha deciso di utilizzarne solo una minima parte. E questa minima parte l’ha utilizzata per fini che nulla hanno a che vedere con il rilancio dell’economia.

Lombardo ha scelto – lo ripetiamo: scientemente – di non utilizzare i fondi europei. Per raggiungere questo obiettivo – sempre scientemente – si è limitato a cambiare quasi ogni anno la giunta regionale e a far ruotare i dirigenti generali. Sono bastati questi due semplici meccanismi per mandare in tilt l’alta burocrazia e incasinare oltre ogni misura la ‘macchina’ che avrebbe dovuto utilizzare le risorse di Bruxelles.

Per potere utilizzare i fondi europei – la cui spesa, è noto, non è ‘pronto cassa’, ma accurata programmazione e rendicontazione, con obiettivi che debbono rispettare criteri precisi e rigorosi – serve continuità politica e amministrativa. Lombardo, scientemente, ha scompaginato la prima e la seconda.

Perché ha fatto questo? Semplice: perché la spesa dei fondi europei rispetto alla sua forza politica, che è minima, avrebbe finito con l’avvantaggiare strati della società siciliana che non avrebbero votato per lui e per il suo piccolo partito.

Il suo predecessore -Totò Cuffaro – non si è posto questo problema. Per due motivi. In primo luogo perché era espressione di un blocco sociale, prima che politico – il centrodestra classico composto da Forza Italia, An e gli ex democristiani del Cdu, del Ccd e poi dell’Udc (non dimentichiamo che Cuffaro comincia la sua esperienza di presidente della Regione nel 2001) – che avrebbe intercettato in maggioranza i benefici relativi alla spesa dei fondi europei. In secondo luogo, perché parcellizzando la spesa – che è stata la caratteristica di Agenda 2000 – avrebbe consetito una gestione ‘consociativa’ dei fondi europei dove, comunque, lui avrebbe fatto la parte da leone.

Abile nelle scelte tattiche, Lombardo ha dimostrato di non possedere una strategia politica. Ha preso per la gola un Pd siciliano assetato di potere e di risorse. Lo ha riempito di poltrone e di clientele. Facendo accettare a questo partito l’immobilismo sui fondi europei.

Ha operato – sempre con sapienza tattica – sfruttando le debolezze del centrodestra siciliano, con particolare riferimento al Pdl. Tirando dalla sua parte Gianfranco Miccichè, utilizzandolo e mollandolo quando non gli è più servito. Una mossa abile, perché Micciché, fino a quando è rimasto nel Governo della Regione, gli ha garantito importanti coperture con Berlusconi, che allora era il capo del governo del nostro Paese. In pratica, Lombardo ha utilizzato la fragilità politica di Miccichè per scompaginare e indebolire il Pdl siciliano.

Non solo. Il presidente della Regione ha approfittato della crisi dell’Udc siciliana, indebolita dall’uscita di scena di Cuffaro, per impossessarsi di quote consistenti del potere ‘cuffariano’ (l’esempio emblematico lo fornice la sanità, dove tanti personaggi di stretta osservanza ‘cuffariana’ sono diventati, da un giorno all’altro, di stretta osservanza ‘lombardiana’).

E’ ‘interessante’ notare come il Pd siciliano, pur di fare incetta di clientele e di poltrone, ha accettato uno schema di gestione della cosa pubblica che, alla fine, ha massacrato imprese e famiglie siciliane.

Su questo punto – il ruolo del Pd – la lettura è controversa. In tanti momenti è sembrato che all’interno del Pd ci fosse una linea di opposizione ai ‘manovratori’ del Partito, i vari Cracolici, Lumia e la corrente Innovazione di Cardinale, Papania, Genovese e, per certi versi la Cisl siciliana.

Però, stranamente, questa opposizione interna, nei momenti più importanti, è sempre apparsa più di facciata che di sostanza. Tant’è vero che l’unico strumento che avrebbe messo in discussione questa linea politica non è stato mai messa in atto. Ci riferiamo al referendum sulla partecipazione o meno del Pd alla giunta Lombardo. Il referendum avrebbe smentito clamorosamente i vertici del Partito. Così il referendum non è stato celebrato. Di fatto, una verità è ormai sotto gli occhi di tutti: dal 2008 ad oggi il Pd siciliano ha portato avanti una linea politica contraria  a quella che è la volontà della base.

Quando si interrompe questo gioco? Due sono gli elementi di rottura. Il primo è la candidatura di Rita Borsellino a Palermo. Il secondo è il Governo Monti.

Lombardo e il Pd siciliano percepiscono subito le insidie di Rita Borsellino possibile Sindaco di Palermo. Così, più con le cattive che con le buone, la ‘stoppano’. Qui, però, emerge l’inconsistenza strategica della loro scelta, che è culturale prima che politica. Non capiscono che l’eliminazione di Rita Borsellino – attuata, tra l’altro, in modo maldestro – avrebbe spianato la strada a Leoluca Orlando. Che sarebbe diventato – e infatti oggi lo è – un aversario molto più pericoloso di Rita Borsellino.

Abituati, da quattro anni a questa parte, a sperperare le risorse regionali tra clientele varie a base di sottogoverno, consulenze, società regionali riempite di personale, stabilizzazioni di precari e via continuando, Lombardo e il Pd siciliano non capiscono che, con l’arrivo di Monti alla guida dell’Italia si è chiusa un’epoca.

Così, a dicembre dello scorso anno, decidono di prendersi tre mesi di esercizio provvisorio, rinviando l’approvazione del bilancio ad  aprile. Affidando lo stesso bilancio ad alti burocrati e politici di caratura medio bassa. Il risultato sono due impugnative storiche del bilancio (oltre 80 norme impugnate: un record negativo mai verificatosi nella storia dell’Autonomia).

E’ solo a questo punto che Lombardo e il Pd siciliano capiscono che con Monti a Roma i margini di manovra, per la Regione, si sono improvvisamente ristretti. In realtà, le cose erano così già a gennaio. Ma né Lombardo, né i suoi assessori, né gli alti burocrati del dipartimento regionale del Bilancio e dell’Ars hanno capito nulla. Dilettantismo e pressappochismo a iosa, come si può notare.

E’ a questo punto, più per disperazione che per convinzione, che Lombardo, il Pd e i sindacati che hanno tenuto bordone in questi anni al Governo regionale – e cioè Cisl e Uil – decidono di puntare tutto su un piano di formazione professionale che non ha né capo né coda: l’Avviso 20. E’ lì che viene concentrata una somma enorme: 287 e passa milioni di euro ogni anno per tre anni. Una follia.

E’ una sorta di ‘buonuscita’ dei protagonisti di questo sfascio. Un’opzione, lo ripetiamo, assurda nella sua formulazione, perché le esigenze formative annuali della Sicilia soon di gran lunga inferiori a 287 milioni di euro! Ma i soldi dell’Avviso 20 – questo è ormai chiaro pure ai cani e ai gatti – servono a tutto, fuorché alla formazione. Sono un ‘premio’ che Lombardo, il suo Mpa, il Pd, la Cisl e la Uil si sono auto-assegnato prima di uscire di scena. Un ‘premio’ peer avere incasinato la Sicilia oltre ogni limite.

E oggi? Il Pd siciliano è in difficoltà. Non tanto per quello che è successo a Palermo con l’elezione-plebiscito di Leoluca Orlando. ma per quello che potrebbe succedere alle prossime quanto imminenti elezioni regionali.

Lombardo e il Pd hanno destrutturato il quadro politico siciliano. Il Pd pensava di compensare la perdita di credibilità presso la propria base con incarichi e clientele. Orlando, però, ha dimostrato che, quando il ruolo dei partiti viene meno (per esempio, quando si impedisce alla base di esprimersi, come ha fatto il Pd), basta una candidatura indovinata per raccogliere il 70 per cento dei consensi. Polverizzando gli avversari.

Un altro elemento che Lombardo e il Pd non hanno capito è che i siciliani, ormai, sanno che ogni precario in più nella pubblica amministrazione dell’Isola non lo pagherà Roma, ma lo pagheranno i cittadini con le imposte e le tasse regionali e comunali. E questo, forse, è il limite maggiore di Lombardo, che nella recente campagna elettorale, pensando di raccogliere consenso, predicava la stabilizzazione di 50 mila precari. Non capendo di inimicarsi 4 milioni e 950 mila siciliani, che ormai guardano ai precari come fumo negli occhi.

E oggi? Lombardo continua sulla propria strada. Pd o non Pd. Torna ad ammiccare al centrodestra. Non avendo più soldi, gioca la carte delle nomine. Poltrone di sottogoverno di tutti i generi e di tutte le specie. Il Pd insorge. I dirigenti di questo partito, come già accennato, pensavano di recuperare il calo di immagine presso la base con poltrone e clientele. In termini elettorale è andata male. Mentre Lombardo, che li vede ormai tentennanti, se non ‘nemici’, gli leva pure le poltrone. Uno schiaffo!

Privo di credibilità e adesso anche senza potere (e senza poltrone), il Pd siciliano è ormai un partito in preda al terrore. I dirigenti di questo Partito sanno di avere praticamente sbagliato tutto. E sanno anche che potrebbero restare fuori da un eventuale schieramento di centrosinistra che si sta formando in vista delle prossime, imminenti, elezioni regionali. Un’alleanza che potrebbe risultare vincente.

Siamo così tornati all’inizio del nostro ragionamento: la settimana politica che si apre oggi. Con il Pd siciliano che, per provare a recuperare la credibilità che ha perso in quattro anni, vorrebbe addirittura proporre una mozione di sfiducia contro Lombardo. Ovvero una mozione di sfiducia contro se stesso e contro i propri errori. Quasi un’autopunizione, una confessione in pubblico dei propri peccati. Per poi subito dopo riproporsi come il ‘nuovo’ in uno schieramento di centrosinistra.

Dimenticando un precetto evangelico, che gli ex comunisti del Pd possono non conoscere, magari perché non credenti, che che i cattolici dello stesso Pd dovrebbero invece rammentare: e cioè che dal male non può mai nascere il bene…

 


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