Girarci attorno non è il miglior modo di affrontare il problema. Bisogna, invece, senza ipocriti "infingimenti", andare al cuore del problema riconoscendo che lo statuto regionale siciliano, così come vigente e soprattutto dopo le modifiche che hanno introdotto l'elezione diretta del presidente della regione, non ha risposto alla domanda vera che ne aveva sottinteso la richiesta, cioè il riconoscimento di un'autonomia regionale che potesse essere strumento di promozione dello sviluppo.
Lo Statuto siciliano va riformulato
Girarci attorno non è il miglior modo di affrontare il problema. Bisogna, invece, senza ipocriti “infingimenti”, andare al cuore del problema riconoscendo che lo Statuto regionale siciliano, così come vigente e soprattutto dopo le modifiche che hanno introdotto l’elezione diretta del presidente della Regione, non ha risposto alla domanda vera che ne aveva sottinteso la richiesta, cioè il riconoscimento di un’Autonomia regionale che potesse essere strumento di promozione dello sviluppo.
Piuttosto, basta ripercorrere la storia di questi, sicuramente non felici, oltre sessantacinque anni di regime autonomistico per rendersi conto che, eterogenesi dei fini, essa è stata, piuttosto che aiuto, ostacolo reale alla crescita civile ed economica dell’Isola. Si potrà correttamente rispondere che lo Statuto è strumento e che la responsabilità del risultato è tutta di chi lo ha utilizzato, riconoscere questo però non esime dalla critica allo stesso strumento che appare vecchio e animato da una visione contrappositiva e rivendicazionista rispetto allo Stato che, a ben riflettere, appare sostanzialmente superata.
Come appare superata la concezione di “specialità”, condizione “specialissima” come la definiscono alcuni giuristi, visto che essa stessa non ha dato nessun vantaggio all’Isola e, perfino, si è dimostrata, in molte occasioni, un vincolo. Considerato, il gap dell’insularità, le cui opportunità i ceti politici siciliani non sono riusciti a cogliere, e che, anche per questo motivo, indubbiamente pesa sull’economia isolana, non esistono, infatti, motivi seri perché la Sicilia debba godere di tale specificità.
Il discorso da fare è dunque anche quello di riformulare lo Statuto, rinunciando alle battaglie retrò, come quelle di principio, per riappropriarsi della “secchia rapita” o al vagheggiamento di una inesistente “nazione siciliana”, secondo un più fecondo modello che si fondi responsabilmente sulla collaborazione fra lo Stato e la Regione finalizzata proprio alla crescita civile e sociale dell’Isola. Che, diciamocelo senza ipocrisie, è poi quello che veramente interessa la gente.
Ed in questo senso lo Stato, piuttosto che nemico, soggetto deputato a riparare torti storici, come è attualmente continua ad essere considerato, sia invece attore attivo di sviluppo del territorio insieme alla Regione. Uno Statuto che disegni dunque un’autonomia che non continui ad essere recipiente di provvidenze, come purtroppo lo è stato e continua ad esserlo, ma centro propulsore di una politica economica ad essa coerente. E, in fondo, quel che sosteniamo non è altro che la riscrittura del lucido disegno autonomistico di Mario Mineo il quale, profeticamente, aveva intuito i guai che il modesto prodotto giuridico (così lo definisce lo storico Giuseppe Giarrizzo ) elaborato dalla Consulta regionale e sanzionato con legge costituzionale dalla Costituente nel febbraio del ’48, avrebbe, ahinoi!, provocato.
Il Prof Costa: I siciliani restino uniti, il nemico viene da fuori