Lo scouting del clan per cercare falsi braccianti I soldi della disoccupazione agricola ai carcerati

«Gli fai vedere questo foglio: “Debbo prendere questi soldi”. Appena sgarra, lo puoi ammazzare». Che fosse da interpretare letteralmente o come «due tumpulate (schiaffi, ndr)», cambia poco. Il messaggio da veicolare era chiaro: l’indennità di disoccupazione agricola doveva finire nelle casse del clan nella misura decisa, 20 euro a giornata. Nelle intercettazioni confluite nell’inchiesta Sotto Scacco, che martedì ha assestato un duro colpo alle articolazioni dei Santapaola-Ercolano attive nei territori di Paternò e Belpasso, trovano spazio anche i meccanismi che la cosca Amantea aveva messo in moto per far sì che i sussidi statali servissero a sostenere le famiglie dei detenuti. Proprio un Amantea (Franco, ndr) la scorsa settimana è finito al centro della cronaca per essere uno dei boss che percepivano il reddito di cittadinanza

Principale regista della truffa all’Inps sarebbe stato Giuseppe Beato. È lui che suggerisce l’uso metodi duri a Giuseppe Sinatra per risolvere eventuali controversie. «Quest’altro mi deve portare fino all’ultimo centesimo», aveva detto poco prima. Siamo a maggio di due anni fa e Sinatra, oggi 27enne, è uno dei tanti incaricati di fare scouting per trovare soggetti disposti a fingersi braccianti. Per riuscirci non c’era bisogno di sporcarsi le mani di terra né tantomeno affaticare la schiena. Sarebbe bastato fornire i documenti per far figurare l’avvio del rapporto lavorativo con la complicità di alcune aziende agricole compiacenti – gli inquirenti individuano le più attive nella F.S. Top Fruit e nella Sicilchimica s.a.s. – e il contributo fondamentale di una consulente del lavoro, indagata, ma nei confronti della quale la gip Maria Ivana Cardillo ha rigettato la richiesta di misura cautelare spiegando che «manca l’adesione consapevole al programma criminoso».

Per il solo 2018, la somma indebitamente percepita dal clan sarebbe stata di oltre 86mila euro. Il verbo più utilizzato dagli indagati era calare. A dover essere calate erano le giornate lavorative dei singoli braccianti. Dei 20 euro che ogni falso bracciante doveva cedere al clan, cinque venivano utilizzati per remunerare gli scout. Ai lavoratori, invece, andava la restante parte dell’indennità più la copertura contributiva ai fini pensionistici. Tra chi sarebbe stato interessato a ottenere le somme erogate dall’Inps ci sarebbe stato Massimo Amantea, fratello di Franco. Un’ambizione che sarebbe stata manifestata direttamente dal carcere di Lucca dove era rinchiuso, anche se non è chiaro se a dover figurare come bracciante dovesse essere lo stesso Amantea o un suo stretto familiare. La documentazione necessaria per avviare le pratiche sarebbe stata fatta arrivare al nipote Vito Salvatore, figlio di Franco e anche lui arrestato nel blitz di martedì. La proposta era risultata tanto ardita da portare Beato a rendere note le proprie perplessità in merito al rischio di attirare controlli della guardia di finanza

Per l’uomo, infatti, la strada da seguire era quella che passava per l’utilizzo di soggetti dai quali si sarebbe potuto pretendere il versamento dei 20 euro. Senza se e senza ma. «Ci scattiau na tumpulata», commenta Orazio Sinatra, parlando dell’incontro del figlio Giuseppe con uno dei falsi braccianti. Quest’ultimo, sostenendo di avere incontrato il figlio di Franco Amantea, aveva detto a Sinastra: «Salvuccio, mi lascia stare i soldi». Una versione che ancor prima di essere valutata nella sua veridicità andava punita per l’arroganza mostrata. «Gli ho detto: “Come ti permetti a nominare a Salvuccio?”», ricostruisce Giuseppe Sinatra. Alla fine il gruppo ragiona sul fatto che forse il bracciante cercava soltanto di sapere se doveva pagare il clan anche nel caso il numero di giornate lavorative non fosse stato sufficiente a far maturare l’indennità. «Non so se li prendi, però se li prendi devi pagare». 


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