Un tizio qualunque, per errore, cade in un bidone di rifiuti tossici-nucleari e acquisisce dei poteri. È la trama della pellicola prodotta dal regista Gabriele Mainetti, in uscita dalla prossima settimana. Una storia non originale, ma ben raccontata e ambientata nella Roma vera, quella della periferia
Lo chiamavano Jeeg Robot, il supereroe burino Nelle sale il film indie di Mainetti con Santamaria
Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei. Ovvero storia di un supereroe burino col nome giapponeseggiante a cui piacciono porno e budino alla vaniglia. La storia – soggetto originale di Nicola Guaglianone che ha scritto la sceneggiatura con Menotti – è semplice: un tizio qualunque, per errore, cade in un bidone di rifiuti tossici-nucleari e acquisisce dei poteri. Un uomo scappa tra i vicoli di Roma, si rifugia in una barca abbandonata sul Tevere, cade in acqua e assume una strana sostanza nera; da lì la trasformazione del personaggio, fisica e non solo di ruoli, lo porterà ad una nuova dimensione. Dopo Super, Kick-Ass e Hancock arriva anche in italia, in salsa rigorosamente amatriciana, il supereroe sfigato, coatto, che pensa più a se che agli altri. Quel tipo di supereroe che quando scopre di avere i poteri li testa subito dove può, senza pensare all’umanità o agli altri.
Il regista racconta una storia vera, non originale – il plot è quello del classico cinefumetto: fuga, caduta, scoperta dei poteri, rinascita -, ma ben raccontata: la sceneggiatura è semplice, non ci sono twist finali o improvvisi, tutto è abbastanza prevedibile, ma non per questo noioso o fastidioso. Le inquadrature son molto strette, a parte qualche panoramica fatta con drone e GoPro, molti interni, semplici senza particolari ricercatezze (solo qualche interessante gioco di fuoco); gli esterni sono semplici ma curati, nessuna particolarità ma non sembra di guardare un film italiano. Non me ne vogliano i più, ma negli ultimi anni c’è poca roba, o almeno io ho visto poca roba meritevole.
La violenza è presente, come il sesso e il porno (stima infinita per la signora in sala coi figli decenni), ma niente gore senza senso o gratuito, tutto ha un senso all’interno della storia e del racconto. La vicenda è ambientata ai nostri giorni, ma lo capiamo solo grazie ai prodotti Apple, perché altrimenti (dalle musiche alle Crome presenti) sembrerebbe pienamente vissuta negli anni ’80, di certo periodo di crescita del regista/sceneggiatore/produttore. Le citazioni si sprecano: da Jeeg Robot, a qualsiasi altro anime degli anni ’80, I Simpson (con «libera i cani» come direbbe il signor Burns), Loredana Bertè, pavimenti luminosi nelle discoteche. Ma nessuna di esse è invasiva o sovrasta la storia o ne modifica il decorso; anche Romanzo criminale è parecchio presente (saranno ambientazioni e personaggi), come Suburra e Non essere cattivo, per ambientazione e personaggi presi entrambi dalla Roma vera, dalla periferia, una scelta, definita dallo stesso regista, pasoliniana.
Il film è totalmente italiano, prodotto in maniera indipendente dallo stesso regista, ed è un piacere scoprire che anche qui si può fare buon cinema senza per forza basarsi su qualunquismo e battute stravecchie e strasentite. Un milione e 300mila euro per un prodotto che si spera di vedere sempre di più nelle sale. Per promuovere l’uscita del film (nelle sale italiane dal 25 febbraio, ma proiettato in anteprima anche a Catania), sabato 20, insieme alla Gazzetta dello Sport, sarà venduto in italia il fumetto della pellicola curato da Roberto Recchioni, con le copertine di ZeroCalcare, Ortolani, Bevilacqua e lo stesso Recchioni.