La nostra blogger Sanaz Alishahi scrive di una figura per lei importante, Sh. Da quando lui vive nel nostro paese si è reso conto di come ai suoi occhi l'Occidente sia una scoperta priva di senso. Tutti sembrano impegnati in una corsa continua che non vale la pena di sostenere. «Vedere, guardare, osservare, godere di una vista mozzafiato o di due insetti che si accoppiano, questi sono momenti importanti»
Lo chiamavano agha Sh, stella cadente Un iraniano che sogna la sua terra dall’Italia
Sh. ha un animo nobile, di quelli che quando percepisce le meschinità spacca i timpani per come soffre. Due occhi profondi gialli di mattina e verdi la sera, sopracciglia folte, naso tondo in punta, la pelle liscia e color dellambra, due canini che quando sorride si allungano giù dalle labbra sottili. Il suo portamento alla Charlie Chaplin mi ha conquistata sin da bambina. Quando si ha una famiglia numerosa, hai la meravigliosa occasione di poter scrutare tutti senza essere scoperti. Io ho scrutato, sognato, immaginato e fantasticato per anni. E sofferto disastrosamente delle perdite. Ad ogni perdita ho cercato di sostituire chi andava con chi rimaneva.
Sh. ha sostiuito A.
Di A. per il momento non posso parlare, sono passati più di dieci anni, ma sanguino ancora. La morte di A. come uno di quei pugni in faccia che deformano il viso, ha deformato una famiglia grandissima. Ognuno di noi ne porta ancora i segni.
Sh. era un presente assente e un assente presente, il suo odore permeava le mura della casa, la sua stanza era il suo surrogato, della sua personalità. Tanta musica, tanto cinema, piccoli ricordi insignificanti agli occhi degli altri, che per lui erano grandi custodi di memoria, riempivano la stanza. Delicatezza, questa è la parola che lo descrive meglio. Allergico alla volgarità e amante della semplicità, delle piccolissime cose. Quando era in casa era immerso nella musica o in qualche film di culto, sembrava non prestare troppa attenzione a noi che eravamo in casa. Sempre serio, lo chiamavano tutti agha Sh, lui che era il più piccolo di tutti, ed il suo nome significava stella cadente.
Di anno in anno tornando in Iran, lo potevo trovare sempre li, nella sua stanza ad ascoltare musica o a dormire per terra a braccia conserte. Il mio porto sicuro. Tuffarmi nelle sue braccia era il momento che aspettavo tutto lanno. Solo adesso, dopo 25 anni, sentire il suo odore in questa terra, mi ha fatto capire che era quello che cercavo sempre e che mi mancava quando tornavo in Italia.
Sh. era il bello, amato da tutte, corteggiato da troppe. Lui ne amava una, solo quella. Ma il destino non ha voluto che si unissero, e lui decise che allora non sarebbe stata nessun altra. Lei mise una pietra sopra il cuore e un chador sui capelli e ne sposò un altro. Da allora cercarono tutti di trovargli moglie, a tratti accondiscendente, a tratti riluttante, non concludeva mai, riusciva sempre a trovare un motivo per eludere la decisione. Alla fine si rassegnarono tutti allidea che forse non era quello che lui voleva e abbandonarono largomento.
Amante dellarte, fotografo strepitoso, figlio di muratore, non ha mai accettato la concezione dello spaccarsi la schiena. Per lui la vita è degna di essere vissuta, assorbita, allungata, diluita nei giorni lunghi e fatti di poco.
Poco interessato al possesso, acquista meno beni di consumo di un pastore del cuore della Mongolia. Avere e possedere, comprare, ostentare. Concetti a lui sconosciuti.
Vedere, guardare, osservare, godere di una vista mozzafiato o di due insetti che si accoppiano, questi sono momenti importanti.
Voce pacata, sguardo fisso e penetrante. Vivere significa far sentire la nostra mancanza in questa terra quando ce ne andiamo, mi dice. Non accetta ordini né consigli, ma basta una sola parola di suo padre che diventa un bambino.
Adesso che è in Italia non sento il suo cuore pulsare, non cè vita.
Guarda allOccidente come ad una scoperta priva di senso. Al di là di ogni aspettativa lOccidente per lui è noioso.
Gli chiedo: Ma cosa vuoi andare a fare a Tehran? Cosa ti aspetta?. Mi risponde che non vuole fare niente, ma quel fare niente a Tehran è sopportabile mentre qui fa uscire di senno.
Qui devi per forza fare qualcosa, comprare qualcosa, far parte di, essere amico di, andare a, è una vita fatta di traguardi da raggiungere a qualunque costo. Per lui non vale la pena. Quello che perdi per strada cercando di raggiungere i tuoi traguardi è di più di quello che ottieni quando arrivi.
Non vale la pena, lui vive a piccoli passi, e quando arriverà non sarà stanco, sarà ricco.