L’informazione occupata

Un incontro assolutamente non previsto quello con Hassan Balawi, giornalista della Radio-Televisione palestinese. Come ci spiega Balawi stesso nel corso dell’intervista, la sua visita in Sicilia è dovuta all’incontro della Copeam (Conferenza Permanente dell’Audiovisivo nel Mediterraneo) che si tiene quest’anno a Palermo e che vanta la presenza di media provenienti da diversi Paesi euro-mediterranei e mediorientali. Passeggiando per il Monastero dei Benedettini è venuto a sbirciare nella nostra Redazione, ne abbiamo approfittato per realizzare su due piedi un’intervista in lingua francese.

 

 

Signor Hassan Balawi, lei è un giornalista palestinese. Può spiegare ai nostri lettori di cosa si occupa nello specifico?

«Sono giornalista alla Radio-televisione palestinese (la PBC), scrivo da 10 anni per la sezione francese e allo stesso tempo mi occupo delle relazioni tra le televisioni palestinesi e le associazioni dei media della zona euro-mediterranea: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Tunisia, Marocco, Egitto, Libia, Turchia, Grecia, ecc… Mi occupo dei contatti tra la televisione e i media palestinesi e quelli dei suddetti paesi ed è proprio per questo che sono a Catania e sarò presto a Palermo: per rappresentare le televisioni palestinesi. La Copeam (Conferenza Permanente dell’Audiovisivo nel Mediterraneo) è un’associazione che accorpa le televisioni euro-mediterranee tra cui la Rai. Segretaria generale di quest’organizzazione è proprio una giornalista italiana della Rai, Alessandra Paradisi (già a capo delle Relazioni Mediterranee nel Dipartimento per le Strategie Internazionali della Rai-Radiotelevisione Italiana, ndr). Presidente di questa organizzazione è l’algerino Habib Chawki Hamraoui (già direttore generale di ENTV e presidente, da dicembre 2004 dell’ASBU, Arab States Broadcasting Union, ndr). Io invece sono membro del consiglio d’amministrazione in quanto rappresento la televisione palestinese. Tramite l’associazione operiamo scambi e abbiamo legami di cooperazione nel campo del cinema, della televisione, della radio, di festival, ecc… Ogni anno l’associazione indìce un’assemblea generale in un paese membro. Quest’anno è la volta dell’Italia con Palermo. L’anno prossimo si terrà in Giordania. L’anno scorso si è tenuta a Siviglia».

 

Quali sono le principali differenze tra i media orientali e quelli occidentali in termini sia di contenuti che di tecnologie?

«Per quanto riguarda i mezzi, in Europa i mass media sono più stabili. Media orientali e occidentali differiscono nello stato giuridico: in Europa i media sono certamente pubblici ma non statali. Lo Stato non esercita un controllo diretto. Da noi molti media dipendono ancora dagli Stati. Poi ci sono delle eccezioni come l’Italia dove l’ex Presidente del Consiglio Berlusconi aveva un controllo diretto sui media attraverso il denaro. Da noi il controllo dei media viene esercitato tramite la politica e la polizia. Sono entrambe forme di controllo».

 

Pensate che ciò incida sulla qualità dell’informazione?

«Certamente! Quando un medium è controllato direttamente dallo Stato o dal Governo o dal denaro, c’è meno libertà, mentre i media pubblici dovrebbero rappresentare gli interessi e la sensibilità di tutta la società. Sempre più spesso notiamo come certi gruppi influenzino la qualità dell’informazione e dei programmi. La questione dell’indipendenza dei media è fondamentale. Indipendenza anche economica. Alcuni miei colleghi europei mi hanno riferito che non riescono a fare buoni programmi perché non hanno i soldi per la produzione, per i cameraman, per spostarsi o semplicemente per comprare programmi fatti altrove. Per noi palestinesi nello specifico, la situazione non è delle migliori: lavoriamo in condizioni economiche difficili, ma ancor più difficili sono le condizioni politiche. L’occupazione israeliana ha distrutto i media pubblici palestinesi perché questi media parlavano di ciò che l’occupazione causa: colonizzazione, costruzione del muro, ecc… Hanno bombardato Radio e Tv palestinesi perché considerati media di propaganda. Proprio per queste condizioni difficili è necessario instaurare rapporti con le televisioni euro-mediterranee».

 

Per i giovani che volessero intraprendere la carriera di giornalista in Palestina, che corsi di formazione esistono?

«Ci sono sia corsi universitari che corsi di organizzazioni private che preparano in diversi settori. Nelle Università ci sono aule che riproducono studi radiofonici e televisivi, ma anche cinematografici. Vengono infatti realizzati documentari dagli stessi studenti. Abbiamo avuto il primo festival proprio prima della mia partenza ad aprile. I media ricoprono un ruolo importante nelle università perché educano alla libertà d’espressione e permettono alla società più informazione. In quest’ottica collaborazioni con altre università come quella di Catania sono le benvenute».

 

Il vostro personale punto di vista sulla situazione politica in Palestina.

«In questo periodo la situazione è molto grave a causa dell’occupazione che non giova alla stabilità del Paese. In tale situazione non è possibile risolvere i tanti problemi che affliggono il paese: sia sociali, che economici. La soluzione più rapida ed efficace per risolvere i problemi sarebbe mettere fine all’occupazione dei territori palestinesi da parte degli israeliani, perché le persone possano vivere e lavorare. Finché ci sarà occupazione ci saranno sempre attentati, violenza, frustrazione e terrorismo. Bisognerebbe applicare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La stabilità e il reciproco rispetto parte da lì. Da una buona convivenza potrà in futuro nascere, sul modello dell’Europa Unita, anche un ‘Grande Medio-oriente’ perché la gente possa viaggiare e scambiare merci in piena sicurezza».

 

Pensa che l’informazione ‘occidentale’ contribuisca a velocizzare il processo di liberazione della Palestina riferendo costantemente quello che accade da voi? O forse contribuisce ad aumentare la paura da terrorismo?

«Dipende. Avete media che dicono la verità e incoraggiano il processo di liberazione, altri che sfortunatamente dipendono dal denaro e da pressioni politiche ed economiche che vogliono presentare le cose diversamente, preoccupandosi soltanto di trattare di terrorismo. Il terrorismo è solo una parte del problema. E’ piuttosto una conseguenza, non l’origine. Dipende dal medium perché avete giornalisti che fanno un buon lavoro e altri che non lo fanno».

 

Link:

Il sito ufficiale delle Copeam

L’articolo sulla conferenza della Copeam tenutasi a Palermo


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