Librino mon amour

Grattacielo, Tigna, Lucio Dalla sono amici miei, da ragazzini volevano sempre e solo giocare a pallone. Poi ho conosciuto Islam, un cuoco. Una volta ha riciclato il pesce di tre settimane a dei turisti tedeschi, gliel’ha cucinato all’acqua pazza e si sono leccati i baffi. Ricordo con un sorriso Turi Volkswagen, e la dura realtà che lo ha messo alla guida di una Ford. Poi c’è il misterioso Minnirossi di cui tanto poco si parla ma che ne avrebbe di cose da raccontare… Eppure non l’ho mai visto in faccia, non so che viso avesse e nemmeno come si chiamasse. Però è amico mio, mi accompagna da 3 anni ogni giorno in qualunque cosa io faccia, a lavoro o nel tempo libero ogni tanto torna nei miei ricordi. A parlarmi di loro è stato Luciano Bruno, già una delle prime volte che l’ho visto, al Pala Spedini mentre raccontava la “sua” storia a tremila persone, e poi tante altre nella serena convivialità di una “spaghettata” fra amici, o in uno dei nostri giri per Librino.

Una innata capacità di raccontare storie, di creare personaggi da piccoli frammenti di vita, che è esplosa su un palco in uno spettacolo eccezionale che non poteva che chiamarsi “Librino” (il video che vedete sopra, pubblicato su ‘U Cuntu è di Sonia Giardina). Si tratta di un monologo, ma Luciano solo sul palco ci resta per poco. Quanta fatica e sudore abbia speso su quel palco insieme ai registi – Orazio Condorelli e Giuseppe Scatà – per portare a una forma matura quella storia di ragazzini alla periferia di Catania lo vedi a ogni replica, all’inizio la sua voce trema per l’emozione, ma dura poco fino a quando non sa di aver conquistato lo spazio attorno a sé. Tutto è vuoto, ma lo spazio si popola di personaggi; con pochi aneddoti costruisce vite intere, e le mette in un panorama di case (su case, su case), con una collina, dove dopo un po’ Luciano ti porta e ti fa vedere com’era la sua città.
Vedi Luciano Bruno a teatro e pensi che ci sia qualcosa che non va: l’eleganza dei gesti, la dizione perfetta e quell’atteggiamento di malcelata “superiorità” tipica dell’attore che siamo abituati ad applaudire, ad esempio allo Stabile di Catania, non ci sono. Eppure sai di aver visto uno spettacolo teatrale eccezionale, con un attore straordinario. Luciano ha qualcosa che manca di solito nel teatro, ma che è l’unica cosa che conta davvero: sa usare il suo corpo per comunicare. Perché non recita, lui è a Librino, devi solo dargli il tempo di ricostruirlo per te, che lo guardi un po’ scettico all’inizio, ma quando finisce sei totalmente conquistato dai suoi racconti. L’unica cosa che importa, e lo sai, è che da quel momento Grattacelo, Tigna, Lucio Dalla e gli altri sono amici di tutti, pezzi fondamentali della tua memoria di catanese, e ti sembra di vederli, con l’occhio un po’ nostalgico quando passeggi per piazza Dante e dei ragazzini giocano a calcio sulle scalinate di San Nicola. E poi penso alle altre sue storie, quelle che sul palco non ci sono finite, e sono decine, centinaia, chissà che non finiscano a teatro anche loro. Quello che conta delle sue storie è che sono ogni giorno con me: quando vado al ristorante penso ad Islam, sorrido e ordino solo pesce arrosto. Quando vedo una Focus sono certo che il proprietario in fondo “rode”, perché la Golf costava troppo. Quando cammino vicino casa mi rattristo, perché io e tanti altri che hanno visto e vedranno “Librino” sappiamo che i nostri amici appartengono a un’altra epoca, una età dell’innocenza che Librino ha perduto presto. Come Luciano e i suoi amici.

“Il riscatto di Catania parte da Librino”: vi proponiamo l’intervento di Luciano Bruno durante una manifestazione al Palaspedini dopo l’omicidio Raciti:


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