La Farnesina sta ancora verificando la notizia, ma i due dipendenti dell'impresa Bonatti rimasti vivi starebbero bene. Intanto il ministro dell'Interno ammette il rischio attentati a seguito di un intervento militare: «C'è questa possibilità, ma lasciare un vulcano acceso davanti alle nostre coste non lo riduce»
Libia, liberato l’altro ostaggio siciliano dell’Isis Il biglietto: «Siamo psicologicamente devastati»
Sono stati liberati i due ostaggi italiani rimasti nelle mani dell’Isis. A darne notizia è Domenico Quirico, inviato de La Stampa nella città libica di Sabratha dove ieri sono rimasti uccisi gli altri due lavoratori rapiti a luglio. Il ministero degli Esteri al momento non conferma la notizia e spiega che sono in corso delle verifiche. Si tratta di Filippo Calcagno – originario di Piazza Armerina, in provincia di Enna – e Gino Pollicardo. Secondo il quotidiano torinese i due uomini sarebbero in buone condizioni di salute. Il Sabratha Media Center, organizzazione non governativa che riunisce diversi media della zona, ha appena pubblicato una foto dei italiani e un biglietto con scritto: «Sono Gino Pollicardo e con il mio collega Filippo Calcagno oggi 5 marzo 2016 siamo liberi stiamo discretamente fisicamente, ma psicologicamente devastati, abbiamo bisogno di tornare a casa».
I quattro tecnici dell’impresa Bonatti sono stati sequestrati a luglio e non si erano avute più notizie fino a ieri. Quando in un conflitto a fuoco sono stati uccisi Salvatore Failla, originario di Carlentini, nel Siracusano e il sardo Fausto Piano. «Non abbiamo ancora avuto la conferma ufficiale e stiamo aspettando con trepidazione di sapere che anche mio padre è stato liberato – ha detto Gianluigi Calcagno, figlio di Filippo – Sappiamo che alcuni siti hanno dato la notizia e anche la foto di mio padre insieme a Gino Pollicardo ma nessuno ci ha ancora confermato la liberazione». Ma una conferma importante arriva dall’altro collega liberato che è invece riuscito a parlare con i famigliari a cui ha detto che anche Calcagno sta bene.
Ieri il Sabratha Media Center, citato dall’Associated Press, ha spiegato che i corpi dei due italiani uccisi sarebbero stati trovati con delle armi in pugno. Ricostruendo come le milizie locali che combattono l’Isis hanno attaccato due mezzi dello Stato Islamico a circa 35 chilometri a sud di Sabrata, uccidendo i nove che viaggiavano a bordo dei veicoli. I corpi dei due italiani, secondo la sua versione, sarebbero stati trovati successivamente con delle armi in mano.
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فيديو للايطاليين الذين تم تحريرهما
Pubblicato da المركز الإعلامي صبراتة – Sabratha Media Center su Venerdì 4 marzo 2016
Proprio nella regione tra Sabratha e Tripoli potrebbe concentrarsi un imminente intervento militare di una coalizione internazionale guidata dall’Italia, che ha già mandato sul campo un piccolo contingente di agenti dell’Aise, i servizi segreti per la sicurezza esterna. «La connessione tra quanto è accaduto a Sabratha e l’ipotesi di partecipazione alla missione internazionale è quanto meno acrobatica – ha affermato il ministro dell’Interno Angelino Alfano al Corriere della Sera -. Purtroppo i nostri connazionali sono vittime di un evento che casualmente s’intreccia con quello che si sta pianificando, e il dolore è maggiore perché che ci stavamo impegnando a fondo per la liberazione degli ostaggi».
Quindi Alfano ammette che l’intervento in Libia può aumentare il rischio di attentati terroristici in Italia. «È ovvio che ci sia questa possibilità, dal momento che tutte le analisi investigative e di intelligence hanno stabilito un nesso tra la politica punitiva messa in atto dall’Isis con gli attentati di Parigi e la partecipazione della Francia ad azioni militari. Del resto il nostro livello di attenzione è già molto alto, però bisogna fare anche un altro tipo di valutazione. Escludere a priori una nostra partecipazione all’intervento su quello che sta avvenendo davanti casa nostra non è più tranquillizzante per la nostra sicurezza interna. Nella valutazione dei rischi, lasciare la situazione com’è non rende il quadro meno preoccupante per noi. Anche sul piano del pericolo attentati. Il rischio c’è già – conclude – e tenere un vulcano acceso davanti alle nostre coste non aiuta certo a ridurlo».