Libertà di stampa: il giallo dell’Italia

LA SITUAZIONE NEL NOSTRO PAESE RIMANE PESSIMA. NEL RANKING L’ITALIA E’ L’UNICA DEMOCRAZIA DELL’EUROPA OCCIDENTALE CLASSIFICATA COME PARTIALLY FREE, SOLO PARZIALMENTE LIBERA

di Stefano Vaccara

(tratto da lavocedinewyork.com)

Al secondo panel dell’incontro all’ONU sul World Press Freedom Day 2014,  dove alla discussione c’è stato un seguito di domande, moderato da Maher Nasser del Public Information dell’ONU, hanno partecipato Yehia Ghanem, giornalista egiziano adesso al CUNY Graduate School of Journalism, Delphine Halgand, rappresentate negli USA di Reporters Without Borders, Agnes Callamard, Direttore di Freedom of Expression and Information Project, e Wade Williams, giornalista di FrontPage Africa.

In questo panel si è discusso in maniera specifica delle limitazioni della libertà di informazione ed espressione in vari paesi, con il giornalista egiziano Yehia Ghanem che ha messo in risalto come in Egitto sicuramente la “primavera araba” non abbia portato ad un miglioramento della libertà di stampa e come  lui stesso abbia alla fine dovuto rifugiarsi in America. Ad un certo punto, anche una studentessa cinese che sta studiando giornalismo in una università USA ha avuto il coraggio di prendere la parola e ha denunciato le repressioni in Cina sulla libertà di espressione e sulla possibilità di fare libera informazione. Chissà cosa accadrà al futuro professionale e anche personale di questa giovane se dovesse tornare nel suo paese…

Ma la parte per noi più interessante è arrivata durante l’intervento della giornalista liberiana Wade Williams, già due anni fa borsista al Palazzo di Vetro della Dag Hammarskjold Fellow, e che, tornata in Liberia, ha dovuto subito confrontarsi con le restrizioni imposte dalla legislazione del paese africano in materia di libertà di stampa. Wade ha raccontato una storia che a noi ha ricordato qualcosa di noto: il suo giornale, FrontPage Africa è stato chiuso per un lungo periodo dalle autorità governative dopo che aveva perso una causa per una querela di un ministro su cui il giornale stava preparando una inchiesta per corruzione.

L’editore del giornale è finito in prigione, vittima di una causa per diffamazione che lo aveva condannato a risarcire una cifra spropositata, un milione e mezzo di dollari che il piccolo giornale non avrebbe potuto pagare. Ma quando l’editore, Rodney D. Sieh, riuscì dalla galera a far arrivare un suo articolo di denuncia al New York Times che lo pubblicò, ecco che anche il governo della presidente  Ellen Johnson Sirleaf, laureata ad Harvard, con tanti amici al Congresso USA e che tanta speranza al momento della sua elezione aveva ispirato per l’Africa, ha dovuto allentare la sua morsa su quel giornale indipendente di Monrovia.

A questo punto, chi scrive, ispirato dal discorso della giornalista liberiana,  non ha resistito a porre una domanda a Delphine Halgand, responsabile di Reporters Without Borders, che aveva appena presentato la nuova mappa con il famoso ranking diviso per colori, dove i paesi peggiori per la libertà di stampa hanno il colore più scuro e i più liberi invece più chiaro, fino al bianco del Canada, della Germania, dei paesi scandinavi o anche della Namibia, in Africa. Gli Stati Uniti nel 2014 sono in giallo, come anche l’Italia che quest’anno è progredita dall’arancione del 2013, quando era l’unico paese dell’Europa occidentale ad aver ottenuto un ranking così basso, ma  che quest’anno è stata “promossa” al giallo (invece e giustamente, nel ranking di Freedom House l’Italia rimane l’unico paese dell’Europa Occidentale classicato come Partialy Free).

A Halgand abbiamo chiesto, dopo aver ascoltato la giornalista liberiana, come mai all’Italia fosse stata data una valutazione migliore fino a cambiare colore dall’arancione al giallo, nonostante non ci fosse stato alcun cambiamento nelle restrittive leggi italiane sulla libertà di stampa, che permettono ai politici, quando oggetto di inchieste, di querelare continuamente i giornalisti e i giornali , con la conseguenza di intimidire soprattuto i piccoli giornali che non hanno i mezzi per difendersi.

La risposta della responsabile dei RWB è stata senza peli sulla lingua: “In realtà in Italia non è migliorato nulla, il cambio di colore è stato dovuto soltanto a un tecnicismo legato al sistema dei computer. Siccome molti paesi sono passati ad una condizione migliore, e allo stesso tempo altri paesi da una posizione migliore sono scesi in classifica, questi aggiustamenti hanno fatto migliorare la posizione del ranking italiano, ma più che a meriti, il cambiamento è stato dovuto, per l’appunto, ad un aggiustamento generale del ranking. Sappiamo che in Italia i giornalisti vengono ancora intimiditi da una legislazione sulla diffamazione ancora molto restrittiva. Quindi grazie per la domanda”.


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