Lezione conferenza di Riccardo Giagni

Un aula A2 semi vuota, ha fatto da cornice alla lezione conferenza tenuta da Riccardo Giagni, docente di “Storia della musica per il cinema” all’Università di Lecce, compositore, autore delle colonne sonore dei film “L’ora di religione” e “Buongiorno, notte”. L’impossibilità di spiegare il complesso significato della musica da film in sole quattro ore, ha costretto Riccardo Giagni a procedere per grandi linee, cercando di abbracciare un po’ tutti gli argomenti salienti. Dai primi tentativi di cinema dei fratelli Lumiere, dove la musica era già presente – si pensa per tranquillizzare il pubblico di fronte alla magia delle immagini in movimento che offriva il cinema – fino ad arrivare all’utilizzo sempre più massiccio da parte dei registi del fuoricampo.

Il video che avrebbe dovuto proiettare gli spezzoni di film proposti, si inceppa. Buio pesto e sonno a tempesta. I più svegli cominciano a mandare sms agli amici, pregandoli per l’occasione di serbargli un posto, proprio accanto al loro telo mare. Altri cominciano a telefonare all’amico barista alla ricerca di un caffé. Il sottoscritto – per coloro i quali fossero interessati – comincia a dubitare sulla reale efficienza della nostra università, provando un po’ di vergogna nel vedere il nostro ospite d’onore, visibilmente imbarazzato.

Improvvisamente l’audio. Per il video abbiamo dovuto attendere qualche minuto in più. La lezione si conclude con la metà delle persone che vi avevano partecipato dall’inizio.

Viene il mio turno. Comincia il bello. L’intervista

Quanto peso ha per lei la suggestione visiva, nei suoi lavori, prova ad essere descrittivo o preferisce la sovrapposizione di un linguaggio sonoro al linguaggio filmico?

Mi interessa meno una aderenza molto semplice e molto lineare tra ciò che si vede e ciò che si ascolta, specialmente nel commento sonoro. Preferisco lavorare cercando di raggiungere insieme al regista quella dimensione più simbolica più alta e forse anche più sfuggente e più ambigua che rende più ricco il contesto filmico quando è anche musicale. Faccio un piccolo esempio: nel film “L’ora di religione”, c’è un scena piuttosto famosa di una festa al cui interno convivono e agiscono diversi personaggi, tra affaristi cardinali artisti e appartenenti a diverse religioni. A un certo punto all’interno di questa festa si alza un canto, che poi vediamo anche sullo schermo con il cantante, un cantante un po’ misterioso. una lingua che noi non comprendiamo, nella Roma contemporanea. Un canto orientale in quel caso armeno, con un testo che nessuno capisce e che nessuno può capire. Questa forza espressiva che viene dalla musica e da una lingua che noi non conosciamo, ha il potere di unificare e di portare su un piano piuttosto alto, la scena stessa e ciò che vedremo dopo nel corso del film. Verso quel tipo di coordinamento io sono orientato nel mio lavoro.

Ritiene preparato il pubblico italiano che, per lo più, va via dalla sala alla parola “fine”, senza mai preoccuparsi di vedere quali sono le musiche usate nei film?

Questo è un discorso complesso. Io sono piuttosto convinto, e infatti faccio il mio mestiere in modo un po’ insolito rispetto ad altri, sull’unità del film e in particolare della responsabilità del regista nella firma del film. Dunque io credo che, anche quando le musiche dei film di Leone sono firmate da Ennio Morricone, il film sia anche nella parte musicale responsabilità di Sergio Leone. I film di Marco Bellocchio a cui io ho lavorato in questi ultimi anni, sono film di Marco Bellocchio a tutti gli effetti, anche se le musiche le ho scritte e le ho scelte io. Il fatto che la musica rimanga un po’ dietro le quinte, è abbastanza nella logica delle cose. Noi diciamo “è il film di Kubrick, è il film di Bellocchio, è il film di Muccino”. Naturalmente una valorizzazione della musica è già in atto nel nostro paese. I ragazzi sono più attenti. L’uso del DVD, e anche l’uso più moderno del modo di intendere la colonna sonora, fa si che ci sia un interesse rinnovato nei confronti della musica da film, che tra l’altro è il settore discografico meno in crisi.

Cosa ne pensa dei bellissimi sodalizi come ad esempio quello tra Fellini e Rota, o quello tra Greenway e Nyman?

Io sono sempre ammirato e felicissimo quando al cinema si incontrano delle figure di musicisti e di cineasti che trovano in qualche maniera una cifra comune. Sono, come le chiamo io, le grandi coppie. Si possono fare tanti esempi. Williams e Spielberg. Possiamo dire nel senso più storico Herman e Hitchock. Senza dubbio è un tipo di relazione che appartiene al passato e anche in parte al presente. Oggi con la lezione di Kubrick, in primo luogo, e man mano che la sensibilità dei cineasti rispetto alla musica cresce, c’è da dire che i cineasti hanno un ruolo sempre più attivo nei loro film. Questo vale ad esempio anche per i film di Bellocchio dove c’è una grande discussione tra me e Bellocchio. Il lavoro musicale si fa molto spesso in laboratorio. Credo sia una cosa che faccia molto bene al cinema.


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