“L’euro? Un mostro. Una Banca centrale priva di uno Stato federali provoca solo guai”

RIPORTIAMO UN’INTERVISTA RILASCIATA DALL’ECONOMIASTA, CLAUDIO SARDONI A OLTREMEDIA. PAROLE ILLUMINANTI CHE SPIEGANO LE RAGIONI DELL’ATTUALE CRISI

Nei giorni scorsi Oltremedia ha intervistato il professore Claudio Sardoni, ordinario di economia politica presso l’università “La Sapienza” di Roma.

Il docente, tra le altre cose, affronta il tema dell’Unione Europea e dell’euro.

Riportiamo questa intervista perché ci sembra molto illuminante.

Professor Sardoni, in che modo l’Unione Europea ha modificato l’economia dei paesi che ne fanno parte?

“Per il momento non chiediamoci se il cambiamento sia stato in meglio o in peggio. Ciò che l’Unione Europea ha creato è una sorta di mostro: una Banca centrale priva di uno Stato federale. In tutti i Paesi che non siano quelli dell’Unione Europea – ad esempio negli Stati Uniti, in Inghilterra o in Giappone – c’è una Banca centrale e c’è uno Stato, e nonostante la Banca centrale possa essere indipendente, c’è comunque un dialogo continuo fra i due soggetti al fine di stabilire la politica economica del Paese. Tutto ciò in Europa non c’è, e questa è a mio avviso la causa dei pasticci in cui ci troviamo”.

Lei ha esordito astenendosi dal commentare favorevolmente o sfavorevolmente il cambiamento economico causato dall’UE, ma il suo giudizio al riguardo non sembra molto positivo.

“Certo, si può discutere sui benefici apportati da una grande unione economica: ma l’Unione Europea, per come è stata fatta, non va bene. La sua debolezza è emersa non nel momento in cui è stata creata, ma negli anni della crisi. Il problema, secondo me, è che l’Unione Europea è stata costruita sull’ideologia – perché di ideologia si tratta – secondo la quale meno lo Stato interviene nell’economia e meglio è; meno politiche economiche si fanno, tanto meglio è; di politiche fiscali non si deve nemmeno parlare, e il solo scopo delle politiche monetarie è quello di garantire la stabilità dei prezzi. In una situazione di apparente normalità l’Unione ha funzionato; ma al momento della crisi, in cui un intervento coordinato delle Banche centrali e degli Stati è necessario – e con tutti i loro limiti gli Stati Uniti sono lì a ricordarcelo – l’Unione Europea non ha saputo reagire adeguatamente, e per questo ora si trova in guai seri”.

Qual è la sua opinione riguardo ai trattati di Maastricht e Lisbona?

“Il trattato di Lisbona mi sembra aria fritta: teoricamente avrebbe dovuto portare l’Europa ad essere competitiva nei settori più dinamici dell’economia, ma non ha sortito alcun effetto di rilievo. Il vero problema è il trattato di Maastricht e tutte le correzioni che sono state fatte successivamente, l’ultima delle quali è stata la folle scelta di introdurre a casa nostra il pareggio di bilancio in Costituzione. Il trattato di Maastricht è il frutto dell’ideologia di cui parlavamo prima; esso mi sembra, inoltre, la conseguenza inevitabile dell’aver creato un’unica Banca senza uno Stato federale alle spalle. Per semplificare, questa Banca fissa un unico tasso di interesse e ai singoli Stati resta il compito di fare la politica fiscale; per finanziare la politica fiscale, gli Stati aumentano le tasse o ricorrono al debito. Se ricorrono al debito, con il tasso di interesse unico c’è il rischio che gli Stati ‘spendaccioni’ approfittino di questa situazione (beneficiando ad esempio del fatto che la Germania, che ha una bassa inflazione e un basso debito, ha anche bassi tassi di interesse) per spendere senza remore quel che vogliono. In questa logica, imporre dei vincoli alla politica fiscale autonomamente amministrata dagli Stati ha un senso: si vuole evitare che uno Stato tragga beneficio non da quel che fa, ma da quello che fanno gli altri. Certo, potremmo chiederci perché il tetto massimo del rapporto tra deficit e Pil sia stato fissato al 3% e non, ad esempio, al 4%; e potremmo ancora chiederci perché alcuni Stati siano liberi di sforare questo tetto, come ad esempio la Germania e la Francia, mentre se altri Paesi, per esempio l’Italia, non rispettano questi parametri vengono commissariati”.

A proposito di Italia, quanto pensa che le élites economiche abbiano influito nella formazione del Governo Letta?

“Questo è un argomento piuttosto complesso. Mi spiego: qual è stata la parola d’ordine del Governo Letta, come anche di quello Monti? Garantiamo la stabilità, rispettiamo i vincoli europei e l’Italia tornerà ad acquistare credito nei confronti degli altri Paesi e lo spread si abbasserà. Tutto ciò ha senso se ragioniamo dal punto di vista non tanto dell’élite economica in senso lato, ma da quello di alcune sue parti. La stabilità economica e finanziaria avvantaggia il settore finanziario, le banche, ma non è affatto detto che sia anche un vantaggio per l’industria. Anzi, ogni giorno Confindustria chiede politiche più espansive e parla di massacro nei confronti dell’industria. A mio modo di vedere il problema, che non riguarda solo l’Europa bensì l’intera economia mondiale, è che il settore finanziario è diventato il settore dominante (tant’è che si parla di finanziarizzazione dell’economia), e tutte le politiche sono funzionali e in larga misura subordinate agli interessi della finanza”.

Per avviarci alla conclusione del nostro colloquio, come valuta il diffondersi dell’estrema destra, a livello politico e sociale, in risposta alla crisi?

“Fare paralleli storici è sempre pericoloso, però non dobbiamo nemmeno dimenticare che l’avvento del fascismo in Europa negli anni ’20 e ’30 è anche figlio della crisi economica. Nel momento in cui la crisi è evidente e la politica si preoccupa della stabilità, rendendo il lavoro più flessibile (il che significa sostanzialmente peggiorare le condizioni di lavoro e, se possibile, abbassare i salari), se in questa situazione non c’è un antagonismo di sinistra – parlo semplicemente di una sinistra socialdemocratica, non della rivoluzione proletaria! – il rischio della reazione populistica di destra è molto forte. In Italia ancora ce la caviamo, ma in Grecia negli ultimi due anni Alba Dorata è cresciuta fino a diventare uno dei partiti più importanti. Di fronte alla crisi, se non si dà una risposta progressiva c’è il rischio che il populismo dilaghi: e non dobbiamo sottovalutare il fatto che il populismo sia proprio della destra, la quale ha successo non perché è l’ideologia delle élites dominanti, ma perché ha il consenso popolare”.

Secondo lei attualmente ci sono forze di sinistra in grado di analizzare la situazione e di rispondervi?

“Speriamo che ci siano e che io non me sia accorto! Certo, dalla classe politica per come è formata ora non ci si può aspettare nulla. Qualche spiraglio lo vedo, ma la situazione attuale non giustifica alcun ottimismo”.

 

 


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