Il gruppo dei Batanesi arrestato imponeva il pizzo su diversi lavori pubblici. Cercando di intimidire gli imprenditori attraverso danneggiamenti e bottiglie incendiarie. «Gli dai fuoco alla carta e devi fare in questo modo, sennò prendi fuoco», dicevano intercettati
Le tentate estorsioni sui Nebrodi a colpi di molotov Sotto tiro lavori sulla strada di Tortorici e allo stadio
Il pizzo a danni degli imprenditori che avevano l’appalto per la realizzazione della strada provinciale 157 di Tortorici e quelli per il rifacimento dello stadio comunale a Rocca di Caprileone. Le due opere pubbliche sono al centro dell’ordinanza siglata dal gip di Messina Tiziana Leanza che ha portato all’arresto di una cellula mafiosa del gruppo dei Batanesi sui Nebrodi.
In particolare i quattro indagati arrestati – Antonio Conti Mica, Nicolino Gioitta, Liborio Mileti e Gaetano Sebastiano Liuzzo Scorpo – sono accusati di aver incendiato ad ottobre del 2011 a Rocca di Caprileone la cabina di un caterpillar 205 di proprietà di un’impresa di Longi, impegnata nei lavori di consolidamento e messa in sicurezza della strada provinciale tortoriciana nel tratto compreso tra Rocca di Caprileone e Tortorici. Lavori che erano stati assegnati l’anno prima alla Framich Srl per un importo di 2 milioni 190mila euro. Quest’impresa aveva noleggiato i mezzi per l’esecuzione dei lavori. Ed è proprio al titolare della ditta di Longi che viene chiesta una somma di denaro non quantificata. «Richiesta che poi non si concretizza per cause indipendenti dalla volontà degli indagati», precisa il giudice.
Lo stadio di Rocca in erba sintetica è stato inaugurato a febbraio del 2013. E anche questo cantiere sarebbe finito sotto estorsione dal clan dei Batanesi. In particolare sempre ad ottobre del 2011 Gioitta, Mileti e Liuzzo Scorpo secondo i carabinieri del nucleo investigativo guidati dal colonnello Ivan Borracchia, avrebbero collocato una bottiglia piena di benzina all’interno del cantiere dove lavorava una ditta di Mascali che si era aggiudicata l’appalto per il rifacimento dell’impianto sportivo. Al titolare dell’impresa sarebbe stata chiesta una somma di denaro non quantificata. E anche questa volta l’estorsione non sarebbe andata in porto.
Come sottolineato dal colonnello Borracchia, «il gruppo era solito informarsi sull’importo dell’appalto e sulla solidità economica delle ditte che venivano poi prese di mira. Venivano fatte delle vere proprie informative prima di entrare in azione». Andando a leggere, ad esempio, le informazioni sulle tabelle di realizzazione dei lavori, in modo da potersi regolare sulla percentuale della richiesta estorsiva. Anche gli atti intimidatori erano concordati nei minimi particolari. Per la strada tortortoriciana, ad esempio, «gli indagati si preparavano a mettere in pratica il proposito criminoso confezionando alcune bottiglie incendiarie che avrebbero lanciato nel cantiere preso di mira utilizzando una pietra come zavorra». In un’intercettazione telefonica si legge come Gioitta spieghi il sistema da usare. «Si mette una pietra qua dentro giusto?». Gli risponde Liuzzo Scorpo: «Certo… Gli dai fuoco alla carta e devi fare in questo modo, sennò prendi fuoco. Casomai la metti aggomitolata e gliela tiri».
All’interno dell’ordinanza trova spazio anche un’altra tentata estorsione ai danni di un’impresa con sede a Capo d’Orlando che a dicembre del 2011 subisce l’incendio di due mezzi d’opera cingolati e di un autocarro Volvo. Responsabili dell’atto intimidatorio sarebbero Giuditta, Mileti e Conti Mica. Anche in questo caso l’estorsione non va in porto.