«Molti bambini e ragazzi non vorrebbero tornare nel mondo dopo essere stati qui, perché sono in una bolla protetta dove si sentono al sicuro». A parlare del reparto di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale è Renato Scifo, il primario del reparto che si trova al secondo piano. Uno dei tre di tutta la Sicilia (insieme all’ospedale dei Bambini di Palermo e al Policlinico di Messina) che conta solo dieci posti letto. «Da quando è iniziata la pandemia – racconta Scifo a MeridioNews – sono tutti occupati e, ogni settimana, arrivano cinque o sei casi gravi di ragazzini che hanno tentato il suicidio». Sono di più le ragazzine e la media dell’età di chi al male di vivere ha provato a porre fine togliendosi la vita è di 13 anni.
Con il Covid, il disagio psichico dei minori è esploso «ma – sottolinea il primario di Neuropsichiatria infantile – partivamo da una situazione pre-pandemica in cui era già costante l’aumento di patologie neuropsichiatriche e psichiatriche dell’età evolutiva». Casi non sempre acuti che spesso vengono seguiti dall’unità operativa complessa di Neuropsichiatria infantile territoriale. È nella struttura del dipartimento di salute mentale in corso Italia a Catania che «un’équipe multidisciplinare fatta di medici, psicologi, pedagogisti, terapisti della riabilitazione, logopedisti e assistenti sociali – spiega la direttrice Anna Fazio – si prende cura di tutti i minori che presentano disagi». Dalle grandi sindromi di deficienza mentale fino a disturbi del comportamento, del sonno, alimentari e a vari tipi di disadattamenti sociali.
In linea con la media nazionale, anche nell’area della Sicilia orientale a soffrire di patologie mentali è quasi il 20 per cento della popolazione dai zero ai 18 anni. Di questi, i casi più gravi necessitano di un ricovero in strutture specializzate. Disturbi della sfera psicotica, stati paranoidei, esordi di schizofrenia, anoressie e bulimie nervose, atti di autolesionismo (in crescita soprattutto tra le ragazzine i fenomeni di cutting), casi di ritirati sociali che, come gli Hikikomori giapponesi, vivono isolati nelle loro camerette senza avere rapporti diretti con nessuno, fatta eccezione per le comunicazioni sui social. «La pandemia ha acuito tutto – sottolinea Scifo al nostro giornale – In media ogni ricovero dura tre settimane, ma ci sono casi più delicati in cui serve che i pazienti restino più a lungo, anche due mesi. Come il caso di una ragazzina con disturbi alimentari aggravati da una dispercezione somatica». Ridotta a uno scheletro, guardandosi allo specchio, si vedeva grassa. Questo tipo di disturbi legati alla sfera dell’alimentazione comincia intorno ai nove anni e colpisce soprattutto le bambine.
Nell’unico reparto dell’area orientale dell’Isola, i dieci posti letto sono tutti sempre occupati. «E bisogna tenere conto anche delle combinazioni dei pazienti nelle stanze – sottolinea Scifo – Non possiamo mettere insieme un 17enne delirante con un bambino di tre anni che ha avuto una crisi epilettica». Non solo numeri, nel reparto i pazienti restano bambini, ragazzi, adolescenti. «Anche in tempo di Covid, con loro può rimanere uno dei genitori (dopo essersi sottoposto a tampone e avere avuto esito negativo). Hanno la tv in camera, la sala comune con i giochi e i videogame e – continua il primario – anche i computer per seguire la didattica a distanza. La maggior parte di loro ha difficoltà quando sa di dovere essere dimesso e di dovere tornare a fare i conti con la quotidianità». Per questo, molti di loro continuano a essere seguiti dall’unità territoriale.
«Sono in aumento i casi di minori che arrivano da noi per abusi sessuali online – riferisce Fazio – Anche bambini di sei o sette anni che, per più ore al giorno, sono lasciati sui social senza nessun controllo da parte degli adulti». Insomma, quella che un tempo era la tv oggi sono i social network. La differenza è che online tutto si fonda sulle interazioni. Il rapporto tra minori e social è tornato alla ribalta dopo la storia di Antonella, la bambina palermitana di dieci anni che si è tolta la vita in casa pare per una challenge su TikTok. «Le ragazzine sono più esposte, specie quelle che pensano di essere diventate adulte precocemente e si atteggiano come tali – sottolinea la direttrice – convinte di essere tutelate dallo schermo». Tra minori che hanno difficoltà a dormire o nel rapporto con il cibo e altri che manifestano tratti depressivi importanti, «da quando è cominciata la pandemia – aggiunge Fazio – abbiamo registrato un aumento anche dei maltrattamenti all’interno dei nuclei familiari. Proprio qualche giorno fa, ho chiesto a un bambino appena arrivato da noi: “Come stai?“. Dopo averci pensato per qualche secondo – conclude – mi ha risposto: “Non so rispondere perché non me lo chiede mai nessuno“».
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