Le statue dei Savoia? Facciamone un bel museo della ‘colonizzazione’ Sabauda

Intervengo nell’interessante dibattito, aperto dallo stesso direttore, che si sta attualmente svolgendo su Linksicilia in merito alle statue di Vittorio Emanuele II che fanno bella (?) mostra di sé nelle piazze e vie di numerose città siciliane e del Sud.
La provocazione del direttore Giulio Ambrosetti (“Regaliamole tutte al Piemonte”) è assolutamente opportuna; “avviare un ragionamento pacato per cominciare ad eliminare dalle nostre vie le statue di casa Savoia” è legittimo, anzi necessario.
Non è necessario, invece, ripetere qui i motivi che legittimerebbero tale proposta in quanto sono stati già elencati e ben espressi nell’articolo di Giulio Ambrosetti e in quelli che lo hanno seguito. Piuttosto, vorrei condividere con il lettore le mie riflessioni in merito alla portata e alle conseguenze che una iniziativa del genere potrebbe avere, nonché farmi promotore di una proposta.
Se la provocazione di Ambrosetti producesse soltanto un interessante dibattito, come quello in corso, sarebbe meglio di niente ma, certamente, sarebbe poco: un’occasione sprecata. Dalle parole, dalle linee scritte, dalle analisi, a mio avviso, si deve passare all’azione, ai fatti concreti.
Come? Occorre creare un mezzo, per esempio un comitato ad hoc, che possa coinvolgere quante più persone possibile e che si dia da fare per raggiungere l’obiettivo prefissatosi (pare che si stia già muovendo qualcosa…).
Quale obiettivo? Rispedire le statue in Piemonte? Ovviamente no. Quella era certamente un’azzeccata provocazione: farlo avrebbe un costo e, poi, perché dovremmo regalare quelle che sono, al di là del soggetto ritratto, delle opere artistiche che posseggono anche un certo valore (come ha fatto ben notare precedentemente qualcuno in questo dibattito)?
Allora? Le lasciamo al loro posto come semplice “ornamento” delle nostre città (come ha proposto qualcun altro)? No, questa soluzione non mi convince per nulla: per diventare un semplice ornamento dovremmo perdere la memoria di chi in esse è raffigurato e non è semplice, né auspicabile. Se proprio dovessimo optare per una scelta simile, il minimo che si dovrebbe fare è apporre delle lapidi esplicative dei misfatti del personaggio in questione (a futura memoria!).
Ma allora che facciamo? Le abbattiamo a colpi di martello in uno sfogo “liberatorio”? Una soluzione “talebana” del genere non fa parte della nostra maniera di essere, della nostra cultura (il massimo che “siamo” riusciti ad abbattere a colpi di martello in questi ultimi anni è stata una semplice targa che indicava “Piazza Garibaldi” a Capo d’Orlando).
Insomma, c’âmu a fari cu sti statui?!? Dopo aver riflettuto abbastanza ho pensato che la soluzione migliore potrebbe essere quella di creare un museo (all’inizio anche di dimensioni ridotte) cittadino (potremmo iniziare da Palermo) della “Colonizzazione Savoiarda” (o Sabauda) e collocarle là per essere “visitate”, magari anche dagli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, assieme ad opportuni pannelli esplicativi ed altri oggetti in sintonia con il nome del museo (forse Vittorio Emanuele II non ne sarebbe il solo ospite illustre…). In questa maniera avrebbe una sua utilità non soltanto la rimozione delle statue, ma anche la loro nuova collocazione; mostrando rispetto per l’arte e la storia, faremmo un gran bel gesto di civiltà e, al contempo, un’affermazione di verità e di dignità.
Seppure oramai quasi tutti sanno come effettivamente si svolsero i fatti che portarono all’Unità d’Italia e il ruolo avuto da Casa Savoia, l’argomento sembra rimanere un tabù: il Presidente Napolitano ignora la verità storica nei suoi discorsi celebrativi – tutti intrisi di insopportabile retorica risorgimentale, così come la gran parte delle celebrazioni occorse in questo 150° anniversario – e, addirittura, va a visitare la tomba di Vittorio Emanuele II; nelle scuole, a meno di insegnanti particolarmente attenti e volenterosi, si continua a studiare una storia risorgimentale falsa. Riuscire nell’intento di rimuovere le statue creando questi musei della colonizzazione significherebbe infrangere questo tabù con un atto concreto di enorme portata.
In effetti, anche la provocazione del direttore di Linksicilia è stata una infrazione a questo tabù; soprattutto perché la sua battaglia, che è anche la nostra, non è politica, ma culturale e, perciò, “pesa” di più. E cosa ci può essere di meglio per una battaglia culturale se non terminare dando vita ad un museo?

 

Fonso Genchi

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