di Economicus
Il direttore di questo giornale mi invita a mettere giù qualche riflessione sul futuro della Regione siciliana a Statuto autonomo. Mi chiede come vediamo noi la situazione da Roma.
Da siciliano che da anni vive lontano dallIsola – anche se, bene male, cerco di seguire quello che succede – non mi viene facile. Per due motivi. In primo luogo, perché la mia analisi rischia di essere inficiata dallaffetto che provo per la mia terra. In secondo luogo, perché non possiedo tutti gli elementi economici e finanziari sulla Sicilia.
Detto questo, come ho più volte detto al direttore di questo giornale, il problema, oggi, non riguarda la Regione siciliana, ma tutte le Regioni italiane.
Vorrei partire da due dati: uno nazionale e uno siciliano.
Il dato nazionale lha fornito qualche settimana fa Confcommercio: negli ultimi ventanni il carico fiscale degli enti locali è cresciuto del 500 per cento. Una cifra enorme. Unimposizione che ci dice che, soprattutto negli ultimi anni, gli enti locali, per sopravvivere, hanno dovuto aumentare le tasse locali. Ciò significa che i trasferimenti dello Stato sono stati sostituiti dalle tasse locali.
Eppure questo non basta. Il Governo Monti, con un semplice decreto, ha provato ad abolire le Province. Il provvedimento è stato cassato dalla Corte Costituzionale, che ha invitato Governo e Parlamento ad abolire le Province con legge costituzionale. Cosa che lattuale Governo e lattuale Parlamento stanno provando a fare.
Andiamo alla Sicilia. Questanno lo Stato ha prelevato dal bilancio della Regione siciliana 914 milioni di euro, dato sul quale questo giornale ritorna spesso. Vorrei precisare che il prelievo – e non so di preciso di quale entità, ma non deve essere stato leggero – è stato effettuato dai bilanci di tutte le Regioni del nostro Paese.
Sono poche, oggi, le Regioni italiane a non avere problemi di bilancio. La Sicilia sconta maggiori difficoltà perché parte con un buco di circa un miliardo di euro.
Le Province verranno abolite. Ma ho limpressione che questo non basterà. La verità è che, oggi, il nostro Paese non è più in grado di reggere i costi delle Province intese come presidio democratico nel territorio: quindi Presidenti, assessori e Consigli provinciali.
Il guaio – a mio modesto avviso – è che tra un anno o due, non cambiando le cose, non ci saranno più i soldi per gestire le Regioni. Tutte le Regioni: anche le cinque Regioni a Statuto speciale, Sicilia in testa, verranno prima depotenziate e poi abolite.
Anche il numero di Comuni verrà drasticamente ridotto. Vedrete che tra qualche tempo comincerà una campagna martellante, da parte dei soliti giornali di regime, per convincere glitaliani che i Comuni sono troppi e vanno ridotti.
A conti fatti, lItalia non sta gestendo la crisi: la sta subendo. Prima dellavvento delleuro per ridurre il deficit pubblico si ipotizzavano i due scenari classici: o aumentare le entrate, o ridurre la spesa pubblica.
Oggi – anche se pochi ci fanno caso – si sta procedendo in entrambe le direzioni: si aumentano tasse e imposte e si riduce, spesso in modo selvaggio, la spesa pubblica.
Ma tutto questo ancora non basta: perché lItalia, ormai, non è indebitata solo con i propri cittadini: è indebitata con investitori internazionali. Il tutto senza nemmeno avere la sovranità monetaria.
Questo significa che non ci possiamo difendere. La presenza di Mario Draghi alla Banca centrale europea (Bce) ha limitato i danni dello spread e, in generale, della speculazione. Ma non li ha eliminati.
Il nostro Paese non è più in grado di controllare la propria economia. Una volta entrati nelleuro, siamo finiti in altre mani. Non è un caso che la Fiat abbia, di fatto, salutato l’Italia.
In questo momento viviamo una condizione di stasi. La politica del nostro Paese è perfettamente cosciente del fatto che bisogna uscire dalleuro. Ma nessuno se la sente di prendere una decisione drastica.
Daltro canto, chi controlla oggi leconomia europea non ha motivo di forzare la mano con lItalia. Già è stata introdotta lImu che non verrà più tolta. Verranno abolite le Province. Verranno ridotti i Comuni. La sanità pubblica italiana, rispetto non a 20 anni fa, ma a tre quattro anni fa è notevolmente peggiorata. Tra due anni, o forse tra un anno, toccherà alle Regioni. Mi chiede se verranno abolite? Allinizio non lo diranno. Parleranno di Regioni alleggerite. In realtà, verranno sbaraccate.
La strategia messa a punto per lItalia è una grecizzazione lenta, per evitare disordini sociali, almeno nei prossimi due anni.
Tutto questo è stato pianificato a tavolino. Il Muos di Niscemi – argomento sul quale voi tornate spesso – è stato solo pianificato male. Tra due anni, quando la Sicilia sarà molto più povera di oggi, con licenziamenti negli uffici pubblici, drastiche riduzione delle retribuzioni e una disoccupazione quattro volte superiore a quella odierna (tra due anni i circa 100 mila precari della Sicilia saranno tutti senza retribuzione), il Muos sarebbe stato fatto passare come unoccasione di sviluppo.
Se proprio la debbo dire tutta, sono convinto che gli americani si accolleranno di aspettare il peggioramento delle condizioni economiche della Sicilia per poi piazzare il Muos quando i siciliani avranno altro a cui pensare.
Il mio è uno scenario troppo pessimista? Il direttore mi ha chiesto un parere e io ho scritto quello che penso.
Detto questo, per completezza dinformazione, debbo aggiungere che cè un modo, per il nostro Paese, per provare a uscire dallangolo in cui ci hanno cacciato (perché non siamo noi che ci siamo cacciati nella situazione in cui siamo: sono stati i politici italiani poco avveduti che hanno cacciato il nostro Paese in questa situazione quando hanno aderito alleuro: Romano Prodi parla linglese, ma non è inglese come gli inglesi che, giustamente, si sono rifiutati di finire in questa trappola demenziale).
Che fare? Dobbiamo semplicemente uscire dalleuro. I rischi non mancano. Ma siccome, restando nelleuro abbiamo la matematica certezza di finire non come la Grecia, ma peggio della Grecia, ci dobbiamo provare.
Foto di prima pagina tratta da bassilo.it
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