Revocato lo stato di emergenza, i riti esterni nell'Isola possono riprendere a partire dalla Domenica delle palme. Ma le tradizionali feste legate al periodo pasquale non si svolgeranno ovunque. E sono diversi i motivi elencati da parroci e vicariati
Le processioni pasquali in Sicilia che non si faranno e perché Sacerdote: «Sono più passeggiate che atti di vera devozione»
Revocato lo stato di emergenza dovuto alla pandemia da Covid-19, i vescovi siciliani hanno deciso che si potranno riprendere le processioni religiose a partire dalla Domenica delle Palme, il 10 aprile. Eppure i tradizionali cortei legati alle festività pasquali non si svolgeranno in tutta l’Isola, perché sono diversi i parroci e i vicariati ad avere scelto di non organizzarli soprattutto in nome della cautela legata ancora alla diffusione dei contagi da coronavirus. Ma non solo. C’è anche un prete dell’Agrigentino che è dell’idea di abolire tutte le processioni perché «sono più passeggiate che un atto di devozione». Uno dei motivi elencati in un lungo post pubblicato su Facebook da don Antonio Nuara, parroco della chiesa Immacolata di Ribera consapevole di «attirarmi tante critiche».
Annullate per precauzione tutte le manifestazioni pasquali per le strade di Modica, Pozzallo e Scicli (in provincia di Ragusa) e a pure ad Avola e a Rosolini (nel Siracusano). Nemmeno a Mazara del Vallo (nel Trapanese) si svolgeranno le processioni del Venerdì Santo e dell’Aurora. «La Conferenza episcopale siciliana (Cei) ha autorizzato le processioni troppo a ridosso della Pasqua e abbiamo riscontrato difficoltà logistiche e organizzative». In questo caso, però, come hanno spiegato il parroco della Cattedrale Edoardo Bonacasa e il vescovo Domenico Mogavero sarebbe una questione di tempi tecnici.
Una via di mezzo quella adottata dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che detto sì alle processioni religiose ma con cautela. «La cessazione dello stato di emergenza non coincide di fatto con un completo superamento della crisi pandemica – ha scritto in una lettera alle Confraternite – La risalita dei contagi ci obbliga a non abbassare la guardia e ad agire con estrema prudenza». Che, nei fatti, si concretizza con un percorso per la processione del Venerdì santo «studiato in modo che risulti agevole e senza improvvise deviazioni», con una sola banda musicale e con il rientro della statua di Gesù previsto entro e non oltre le ore 23.30. Lorefice raccomanda inoltre che «i fercoli siano addobbati con sobrietà e decoro e non si affiggano carta-moneta e preziosi». Del resto anche la Cei aveva invitato alla sobrietà evitando fuochi d’artificio durante le feste pasquali. «Non si possono sparare i fuochi d’artificio mentre uomini e donne, anziani e bambini sono atterriti dal suono delle sirene e uccisi dalle bombe belliche. In segno concreto di solidarietà – hanno scritto i vescovi siciliani facendo riferimento alla guerra in Ucraina – si invita a convertire il corrispettivo dei fuochi pirotecnici in aiuti umanitari ai profughi che saranno accolti nelle nostre diocesi e nelle nostre città».
In questo clima c’è poi chi vorrebbe approfittarne per trovare «il coraggio di voltare pagina». È così che si intitola il post pubblicato sui social da don Antonio Nuara nel quale annuncia la sua proposta di abolire tutte le processioni. Una posizione motivata da diverse ragioni elencate una per una dal sacerdote. Innanzitutto, il fatto che siano più intese come manifestazioni di folklore e non di fede: «Chi fa parte dei vari comitati che organizzano le feste, non frequenta i sacramenti e la messa. Si vedono solo in quei giorni e poi ripiombano nel buio religioso». Il prete fa notare inoltre che i riti esterni «sono più passeggiate che atti di devozione. Nelle processioni non si prega. La gente che va dietro al fercolo chiacchiera, fuma e, se ci scappa, anche bestemmia. Scontati lo sfoggio e lu sparlittiu (lo spettegolare, ndr)». Oltre a questo ci sono anche motivazioni legate all’aspetto economico dell’organizzazione: «Non c’è proporzione tra le spese per luminarie e spari e le opere di carità». Come ultimo punto, non certo per ordine di importanza, il sacerdote di Ribera ricorda che «nella nostra provincia, nelle processioni ci sono stati anche gli inchini».