È stato proiettato ieri nel corso della rassegna Prospettive, ancora in corso a San Berillo, il film di Gabriele Vacis La paura si cura. Un'intensa rappresentazione cinematografica dei quartieri decentrati e della fobia dell'altro
Le paure di chi abita le periferie in un docufilm «Temo di restare a Librino, posto senza desideri»
«Dimmi di cosa hai paura e ti dirò di dove sei». Sembra
questo il messaggio trasmesso dal docufilm La paura si
cura, proiettato ieri nel quartiere San Berillo a Catania nell’ambito della rassegna Prospettive e
diretto da Gabriele Vacis, che nel 2012 ha intervistato
bambini, giovani e adulti da Nord a Sud ponendo loro la
stessa domanda: «Di cosa hai paura?».
È l’essere umano indagato a partire dalla sua debolezza, la
vera conduttrice di una intervista che ha attraversato l’Italia,
dal Piemonte alle Marche arrivando anche fino alla Sicilia. A Settimo Torinese i bambini hanno paura degli zombie e degli alieni, a Ravenna a far
paura è la noia come portatrice sana di sicurezza. A Genova, è la prostituzione a essere radicata nelle tante vie del campo del centro, che fanno pensare ai vicoli del quartiere catanese di San Berillo.
Nella periferia etnea del rione Librino la paura è quella di rimanere lì per sempre, «in un posto in
cui non si hanno desideri», racconta Cristian, diciassette anni,
che tra le sue qualità decanta ingenuamente anche la sua
incensuratezza. Lui che in passato non ha mai spacciato, al
massimo solo rubato qualche cellulare. «Ho la paura di
essere solo uno do palazzu di cementu», interpreta meglio
un’assistente sociale dell’associazione Talitakum, che ha la sede alla
base del palazzone di cemento in via Moncada.
Quello che viene fuori in La paura si cura è un ritratto asimmetrico delle periferie, che al Nord si sono
emancipate in paesini civili ed evoluti; mentre al Sud sono
implosi distaccandosi dal centro urbano.
Un divario di cui Vacis coglie una tragicità concomitante alle
disparità sociali: «I ragazzi di Librino sono dotati di più strumenti per affrontare le situazioni essendo più
abituati alla violenza – spiega – mentre quelli dei paesi più civilizzati sono stati
educati alla cultura della sicurezza e al rifiuto del rischio e però anche dell’incontro con l’altro».
«Perché l’altro – gli fa eco una ragazza veneta di Schio, in provincia di Vicenza – può togliere qualcosa, quindi bisogna stare sempre in allarme». Eppure c’è anche l’altro che dà. A Librino, per esempio,
ci sono i Briganti rugby, che hanno fatto del campo San
Teodoro l’unica casa dello sport del quartiere. C’è la
Librineria, che ha messo a disposizione per la prima volta
libri non scolastici. E ci sono i volontari dell’associazione
Musica Insieme, i cui allievi hanno anticipato la proiezione del documentario a colpi di violino e violoncello. «In realtà, non
facciamo niente di straordinario – affermano i loro portavoce durante l’incontro – semplicemente facciamo giocare a rugby i
ragazzi sul campo da rugby, così come gli insegnanti di
musica gli fanno suonare gli strumenti. È solo il mondo che è
un po’ strano».