La proposta di designazione avrebbe dovuto essere formulata dal nuovo assessore al Lavoro, peraltro già nominato, Bruno Caruso. Invece ha fatto tutto il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, che ha conferito un incarico triennale con un trattamento retributivo blindato
Ombre sulla nomina di donna Rosa Corsello al Lavoro Ignorati un pronunciamento del Tar e la legge Brunetta
Cominciano a sorgere i primi dubbi – amministrativi e politici – circa il ritorno di Anna Rosa Corsello sulla plancia di comando del dipartimento regionale al Lavoro della Regione siciliana.
Il primo rilievo, di carattere amministrativo e politico insieme, si sostanzia nella seguente domanda: come mai, prima di nominare, anzi, di rinominare la dottoressa Corsello, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, non ha atteso che si insediasse il nuovo assessore al Lavoro, Bruno Caruso, già per altro nominato nella nuova Giunta, a cui spetta il potere di proposta dei dirigenti generali dei propri dipartimenti?
Dopo aver revocato gli incarichi agli assessori della vecchia Giunta, il presidente Crocetta è diventato automaticamente il titolare di tutt’e dodici le deleghe assessoriali. Ciò posto, applicando l’articolo 9 della legge regionale numero 10 del 2000, il governatore, in qualità di assessore regionale al Lavoro, ha proposto come dirigente generale del dipartimento Lavoro la già citata Anna Rosa Corsello. Crocetta ha compiuto tale atto amministrativo quale rappresentante di tutta la Giunta, avendo mantenuto, come già accennato, tutte le deleghe. Ha deliberato sulla proposta che ha formulato come assessore al Lavoro e poi, in qualità di presidente della Regione, ha emesso il relativo decreto di nomina, conferendo alla dottoressa Corsello un incarico triennale.
Quanto avvenuto non è proprio un atto di cortesia verso il nuovo assessore al Lavoro, che avrebbe dovuto proporre il nome del nuovo dirigente generale, e verso la nuova Giunta regionale.
Ma c’è anche un profilo strettamente amministrativo che non è secondario alla luce di un recente pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Sicilia, che ha sottolineato la necessità che i dirigenti generali dell’Amministrazione regionale vengano individuati tra i dirigenti di ruolo di prima e seconda fascia e non di terza fascia.
La storia non è nuova. L’Assemblea regionale siciliana, nel 2000, con la contestatissima e già citata legge regionale numero 10 ha istituito – caso unico in Italia – la terza fascia dirigenziale. In quella fatidica notte quasi 2 mila funzionati vennero promossi sul campo dirigenti dal Parlamento dell’Isola. Ed erano quasi tutti giovani, se è vero che circa mille e 800 di loro sono ancora in servizio. Per intendersi, sarebbero i dirigenti della Regione siciliana in eccesso sui quali, ancora oggi, si polemizza spesso in tv e sui quotidiani nazionali.
Questi dirigenti di terza fascia avrebbero dovuto, attraverso un concorso, passare nelle fasce superiori. Solo passando nelle fasce superiori avrebbero acquisito il diritto di poter essere nominati dirigenti generali.
L’anomalia – che oggi il Tar Sicilia stigmatizza – inizia con il Governo di Totò Cuffaro, nei primi anni del 2000, che non solo non bandisce i concorsi per far passare i dirigenti di terza fascia alle fasce superiori, ma inizia a nominare dirigenti generali della Regione pescando dalla terza fascia.
Si va avanti per anni fino a quando, quest’anno, esplode un mezza bomba. Succede che due dirigenti di terza fascia, Salvo Taormina e Alessandra Russo (entrambi più volte nominati dirigenti generali, con Taormina è stato anche Segretario generale della presidenza della Regione) promuovono un ricorso al Tar avverso la nomina della dottoressa Patrizia Monterosso a Segretario generale della presidenza della Regione. Ricorso che viene respinto.
Ma non viene respinto – e qui il fatto è clamoroso – perché i giudici amministrativi entrano nel merito della questione: viene respinto perché il Tar Sicilia sottolinea che Salvo Taormina e Alessandra Russo non sono legittimati a inoltrare ricorso avverso la dottoressa Monterosso perché dirigenti regionali di terza fascia.
Insomma, se sono dirigenti di terza fascia non possono essere nominati dirigenti generali. Se ne deduce che nessuno dei due può aspirare a diventare Segretario generale della presidenza della Regione siciliana. Perché se un dirigente di terza fascia non può essere nominato dirigente generale, a maggior ragione non può concorrere al ruolo di Segretario generale della presidenza della Regione, che è una sorta di ‘capo’ di tutti i dirigenti generali della Regione
Ora la domanda è semplice: se i dottori Salvo Taormina e Alessandra Russo non possono essere nominati dirigenti generali della Regione in quanto dirigenti di terza fascia, come può il Governo regionale di Rosario Crocetta nominare la dottoressa Corsello, anche lei dirigente regionale di terza fascia, dirigente generale del dipartimento Lavoro?
Certo, i dirigenti della terza fascia nominati nei ruoli apicali della Regione obiettano che il Tribunale del Lavoro, in alcune sentenze, ha riconosciuto il loro stato di dirigenti generali. Ma questo non fa certo venire meno l’importanza giuridica e politica del pronunciamento del Tar Sicilia.
Un altro elemento da considerare nella vicenda della dottoressa Corsello, sempre sotto il profilo strettamente amministrativo, è che il decreto che la nomina dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione – firmato dal presidente Crocetta – non è stato preceduto da predeterminazione e da un atto di interpello. Non sono stati predeterminati i criteri per attuare la selezione nell’ambito dei curricula dei dirigenti della Regione. E non c’è stato alcun atto di interpello. In pratica – come avvenuto per altri dirigenti generali – nella nomina della dottoressa Corsello non è stato applicato l’articolo 19, comma 1 bis del Decreto legislativo numero 165 del 2001, poi modificato dalla cosiddetta legge Brunetta (Decreto legislativo n. 50 del 2009).
Altra considerazione. Secondo l’articolo 9 della legge regionale numero 10 del 2000, gli incarichi dirigenziali generali possono essere confermati, revocati, modificati o rinnovati entro novanta giorni dall’elezione del presidente della Regione e della Giunta regionale. Se non si provvede entro tale termine l’incarico si intende confermato sino alla sua naturale scadenza di tre anni. Nell’ipotesi di revoca del contratto si applica l’articolo 41, comma 2, del Contratto collettivo di lavoro dei dirigenti della Regione siciliana. Tale articolo prevede che il dirigente ha comunque diritto al trattamento economico fondamentale ed accessorio goduto fino alla scadenza naturale del contratto e comunque almeno per un anno o, alternativamente, ad un incarico equivalente.
Questo significa che la dottoressa Corsello – sia nel caso in cui venga confermata, sia nel caso in cui le dovessero revocare l’incarico di dirigente generale entro i 90 giorni – potrà godere del trattamento economico previsto per un dirigente generale (170 -190 mila euro, oggi portati a 160 mila euro, contro in 50- 60 mila euro di un dirigente di terza fascia). In pratica, la dottoressa Corsello percepirà il trattamento retributivo di dirigente regionale comunque vadano le cose.
Ultime considerazioni, questa volta politiche. Che fretta c’era a nominare, anzi a rinominare la dottoressa Corsello? Due le sensazioni. La prima sensazione è che, con questa nomina-blitz, Crocetta e i suoi alleati abbiano soffiato un’importante casella al docente universitario catanese, Bruno Caruso, assessore regionale al Lavoro che, guarda caso, fa capo all’area politica dei cuperliani del Pd. La seconda sensazione è che il governatore potrebbe aver rimesso in pista la dottoressa Corsello non soltanto per avere una preziosa alleata in un assessorato controllato da un’area del Pd che non è la sua, ma anche perché, forse, non avrebbe potuto fare altrimenti, se è vero che la dirigente generale, di cose, sul dipartimento e sullo stesso Governo, ne conosce veramente tante.