Le lettere inedite di Verga all’asta a Parigi Circa 400mila euro per tre lotti di epistole

«Al giorno d’oggi l’interesse va prima della parentela», scriveva Giovanni Verga nel suo Mastro don Gesualdo. Non doveva essere lo stesso per l’autore siciliano, però, se le 300 lettere inedite da poco ritrovate a Parigi sono tutte indirizzate dallo scrittore ai fratelli Pietro e Mario, alla mamma Caterina e al nipote Giovannino. Gli scritti provengono dalla raccolta di un collezionista anonimo che li acquistò a suo tempo dall’erede dell’autore siciliano – il nipote Giovannino appunto – e raccontano squarci della vita familiare, tra problemi di salute e gestione finanziaria dei terreni di proprietà, ma anche annotazioni sulla vita mondana a Firenze e a Milano, e sui suoi capolavori.

La corrispondenza sarà battuta all’asta da Christie’s a Parigi il prossimo 5 dicembre per una cifra di quasi 400mila euro, accanto alle epistole del re Sole Luigi XIV e ad autografi di Marcel Proust, Pablo Picasso, Stephane Mallarmé ed Emile Zola. Ma non si tratta del primo caso di manoscritti verghiani ritrovati. «Purtroppo no – spiega Milena Giuffrida, dottoranda di ricerca presso il dipartimento di Scienze umanistiche dell’università di Catania, impegnata a studiare la corrispondenza tra Capuana e Verga – Dopo la morte dello scrittore chi si trovava in possesso di sue missive, come il nipote ed erede Giovannino Verga Patriarca, o l’ultima amante, la contessa Dina di Sordevolo, fu spinto spesso dal bisogno a vendere ciò di cui era in possesso e sono centinaia le lettere cedute».

Nel catalogo di Christie’s i manoscritti e i telegrammi saranno suddivisi in tre lotti e quello che quasi certamente susciterà maggior interesse sarà il primo, l’originale autografo della Cavalleria rusticana. Dalla novella Verga estrasse la sceneggiatura per il cinematografo, e il testo, messo all’asta per la cifra di 150mila euro, è quello che lo stesso autore ha suddiviso in dodici quadri in cui sono evidenti le continue correzioni. La genesi, il successo e le vicende giudiziarie legate alla Cavalleria rusticana e alla causa che ne derivò con Pietro Mascagni per l’omonima opera lirica riempiono in tutto 78 missive e 10 telegrammi ai familiari, inserite nel secondo lotto. 

«Una contraffazione e un plagio della nostra Cavalleria», scrive Verga il 26 ottobre del 1890 al fratello Mario, riferendosi al libretto musicale di Mascagni. «Tu spedisci immediatamente raccomandati all’avv. Moise Amar, via Magenta 27 a Torino – raccomandava Verga – i libretti della Cavalleria rusticana di Targioni-Tozzetti e del Giovanni Monleone». La vicenda si è poi conclusa con una vittoria giudiziaria per il caposcuola del Verismo e con un risarcimento di 143 mila lire, ma secondo la ricercatrice «fu motivo di grande dolore e inquietudine per lo scrittore». Oltre alla questione meramente economica, che «certamente fu il motore principale della vicenda giudiziaria – spiega Giuffrida – non dobbiamo dimenticare che l’insofferenza di Verga nei confronti della Cavalleria di Mascagni era probabilmente dovuta anche all’interpretazione che l’opera lirica offriva della novella e che intrigava il grande pubblico più dell’originale». 

Già nel 1883 Verga aveva realizzato per il cinematografo un atto unico basato sulla novella, per il quale aveva dovuto sacrificare alcuni aspetti fondamentali, relativi soprattutto alla descrizione dell’ambiente e alla tematica di fondo, la supremazia delle ragioni economiche su quelle dei sentimenti. «L’opera lirica –continua la studiosa – rinuncia invece a ogni elemento di denuncia sociale e si concentra solo sull’adulterio e la vendetta, richiamando esplicitamente il tema del triangolo caro al teatro borghese di fine ‘800».

Infine, una finestra su Milano e Firenze alla fine dell’Ottocento nelle 198 lettere e 20 telegrammi del terzo lotto. Verga si diceva entusiasta del fermento culturale e politico della città meneghina ma allo stesso tempo rivelava alla famiglia quanto fosse legato alla sua terra, ai suoi affetti e alle sue proprietà. «I soggiorni dell’autore a Milano, come a Firenze, non provocarono mai in lui una scissione dal blocco familiare – spiega Giuffrida – Nonostante la sua ambizione, la spinta al successo e alla gloria, che si accompagnano a una certa dose di cinismo e soprattutto al bisogno di conquista della fama letteraria, il distacco dalla famiglia provocò in Verga una sorta di trauma: l’abbandono della Sicilia sotto il profilo morale è percepito come un atto non legittimato».

E sull’importanza del recente ritrovamento, «le lettere potrebbero rivelarci molte cose e aggiungere ulteriori tasselli al quadro dei rapporti tra Verga e l’ambiente culturale milanese e fiorentino – conclude la studiosa dell’università di Catania – Le familiari che abbiamo potuto leggere finora ci hanno mostrato un Verga inedito, intimo, fragile e autoritario al tempo stesso». Soprattutto «nelle lettere alla madre e al fratello Mario, Verga si confessa quasi senza filtri e registra minutamente gli avvenimenti della sua vita, gioie, timori, angosce legate anche alle relazioni culturali», conclude l’esperta. 


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