Lauree specialistiche da rivedere: ecco gli effetti collaterali del 3+2

Un sistema con poche luci e molte ombre. E’ questa la fotografia dell’Università italiana contenuta nel settimo rapporto del Cnvsu (il Comitato nazionale del sistema universitario) presentato a Roma. Un documento che mette nero su bianco pregi e difetti del sistema accademico italiano alle prese con vecchi problemi ed effetti collaterali inaspettati, nonostante siano ormai passati più di cinque anni dall’entrata in vigore della riforma del 3 2 che almeno nelle intenzioni avrebbe dovuto riportare gli atenei italiani su standard europei.

Se infatti rispetto al 2001 da un lato sono cresciuti il numero dei laureati e quello degli studenti che dopo l’esame di maturità prosegue gli studi, dall’altro piaghe come quella degli abbandoni e del numero dei fuori corso (due degli obiettivi dichiarati della riforma) non accennano a morire. Anzi, rispetto a quanto accadeva in passato sembrano in rapida risalita.

Abbandoni e fuori corso. Secondo il rapporto presentato dal Cnvsu, la popolazione studentesca all’interno degli atenei italiani è formata da 1 milione e 800 mila persone. Di queste, nell’anno accademico 2004/2005, le matricole sono state 332 mila con una leggera contrazione in termini assoluti rispetto all’epoca pre-riforma, ma con un consistente aumento della quota di diciannovenni che scelgono di iscriversi all’università: se nel 2001 i ragazzi “maturi” che si iscrivevano ad un corso di laurea erano il 45% del totale, adesso hanno toccato quota 58%. Diversa invece la situazione per abbandoni e fuori corso.

Questi ultimi dopo un periodo di stallo sono ritornati a crescere: nonostante la contrazione della durata dei corsi di studio (da quattro-cinque anni a tre) solo uno studente su due è iscritto all’università da un numero di anni inferiore o pari alla durata legale del corso. Identica situazione per le mancate reiscrizioni al secondo anno, che nel 2005 hanno riguardato ancora il 20,7% delle matricole contro il 19,4% del 2001. Unico segnale positivo la riduzione degli studenti definiti come “inattivi”, cioè ragazzi che pur essendo iscritti all’università non hanno ancora sostenuto nemmeno un esame, passati dal 21,4% al 17%. “Numeri che portano il nostro sistema in epoca pre-riforma – ha detto il presidente Luigi Biggeri, presidente del Comitato – e che evidenziano come con il 3 2 non si è riusciti né a ridurre il numero degli abbandoni né tanto meno aumentare quello degli iscritti regolari”.

Lo strano caso dei “precoci”. Ma se abbandoni e fuori corso di certo non rappresentano una novità per gli atenei, diverso discorso invece si deve fare per gli studenti cosiddetti “precoci” cioè che sono arrivati alla laurea con uno, due anni di anticipo rispetto al normale iter. Solo nel 2005 su un totale di 130 mila laureati triennali, ben 6.500 avevano bruciato le tappe. Un dato che secondo il Cnvsu potrebbe essere dovuto ad un sistema di riconoscimento dei crediti spesso fuori controllo, soprattutto nelle università telematiche, visto che in molte di queste gli studenti precoci rappresentano una buona fetta del totale. Ma se più del 5% quindi si laurea prima del dovuto, per tutti gli altri il tempo medio del conseguimento del titolo è di quasi 4 anni e mezzo con solo il 35% che riesce a laurearsi nell’arco dei tre anni accademici.

Specialistiche fuori controllo. Altro effetto collaterale con cui il sistema universitario italiano deve far i conti è quello della crescita esponenziale dei corsi di laurea. Se di quelli triennali si è già detto e scritto tanto, un fenomeno ancora poco conosciuto è quello delle lauree specialistiche, che nel 2005 hanno toccato quota 2064. In pratica per ogni 100 corsi di laurea triennali attivati, ne sono nati 67 al biennio specialistico. “Un paradosso – ha commentato Biggeri – visto che nei programmi della riforma era previsto che le lauree specialistiche fossero al massimo un terzo di quelle triennali. E invece adesso ci troviamo di fronte ad una situazione che vede l’80% dei laureati del triennio proseguire gli studenti per altri due anni. Non era questo l’obiettivo della riforma”.

Per la prima volta poi il rapporto del Cnvsu ha riguardato anche il numero dei corsi di dottorato, cresciuti da 1.729 a 2.124. Per ogni corso le università potrebbero ospitare nove studenti ma in realtà per la poca disponibilità economica ce ne sono solo sei. Di questi solo il 56% usufruisce di una borsa di studio, appena sopra il limite del 50% fissato per legge.

Il sorpasso degli ordinari. Incongruenze e disparità anche per quanto riguarda il personale docente. Il rapporto infatti evidenzia come negli ultimi sette anni il numero dei professori ordinari abbia superato di qualche centinaia di unità quello degli associati (19.411 contro 18.982). Un fenomeno che assume aspetti insoliti soprattutto in alcune facoltà (Scienze Politiche) dove i professori ordinari sono aumentati anche del 100%, e che manda per aria quella struttura a forma di piramide la cui base più popolosa dovrebbe essere quella dei ricercatori mentre il vertice più stretto dovrebbe invece essere rappresentato proprio dai professori ordinari.

Un dato che insieme all’età media dei docenti (50 anni) e al numero dei concorsi banditi dalle università (più di 27 mila dal 1998) fanno sostenere al Cnvsu che il sistema del reclutamento all’interno delle università sia ancora “troppo incentrato sul dinamiche locali, diretta conseguenza di una limitata disponibilità di risorse”.

Un’agenzia per riformare. “Tutti questi dati – ha commentato il ministro Fabio Mussi – rappresentano per noi uno stock importantissimo per far partire il processo di modifica del nostro sistema universitario. Cero è evidente che la riforma del 3 2 ha provocato buoni risultati ma sono ancora troppi i punti critici. Detto ciò non ritengo giusto azzerare quanto è stato fatto fino a questo momento e ricominciare da zero. Bisogna ripartire da questi dati per poter finalmente riformare un sistema che a mio modo di vedere è troppo vecchio, statico e troppo ancorato a dinamiche locali. E credo che l’istituzione di un’agenzia indipendente per la valutazione delle università, come previsto dalla Finanziaria, possa contribuire in gran parte a migliorare questo sistema, premiando le eccellenze ma soprattutto dando il giusto riconoscimento a quegli atenei che sapranno raggiungere risultati positivi”.

(di Massimiliano Papasso)

 

n.b. articolo apparso su la Repubblica.it il 22 novembre 2006


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