«Lascio Catania, una città che vuole morire» La riflessione di Tony Palazzo, artista emigrato

Lascio Catania. È l’ora. Andare via non è mai facile. Mille volte ho vissuto questo momento, solo gli anni sono diversi, le prospettive e i mezzi di locomozione, ma l’emozione è sempre alta. In fondo ti allontani dagli affetti storici, tua madre, tuo padre, il mare, la montagna, i litigi, gli abbracci, i sorrisi, le frasi non dette, i mancati incontri con gli amici. 

E poi le delusioni per una città che vuol morire, le decine e decine di palme tagliate, le piazze desolate, i negozi chiusi, le vie buie, le strade principali ridotte a bancarelle permanenti, le prostitute che hanno preso il posto dei vigili urbani, i parcheggiatori abusivi, quelle grandi buche incompiute del corso Martiri della libertà, le mille serate da ballo, da aperitivo, da divertimento, le serate della memoria anni ’70, ’80, ’90, le risse, gli scippi, lo spaccio a vista in piazza Teatro Massimo, le librerie che chiudono, il gioielliere che davanti al suo negozio dice ad un suo amico che lui vende prodotti di benessere, e per me, che non avevo mai inteso i gioielli in questo senso, è stata una rivelazione. 

E in questo Natale insolitamente freddo ho indossato guanti e assaporato il babà da Savia, ho anche visto un film, scambiato un saluto con un vecchio amico nel suo negozio di scarpe alle prese con un cliente incapace di cambiare il classico provando il moderno, perché lui, a suo dire, ha sempre calzato scarpe Prada e io abbassando lo sguardo alle mie Quechua da 15 euro ho pensato qualcosa che preferisco non dire, e ho anche visto i fuochi d’artificio, baciato la mia amorosa allo scoccare del nuovo anno. 

E poi, in questi pochi giorni, attraversando da un marciapiede all’altro ho pensato, sognato e ripensato a tutto ciò, fino a questo momento, in cui, chiuso il mio bagaglio, penso già a quando ritornerò e sarà sempre lo stesso, inesorabile e inevitabile senso di malinconia.

Tony Palazzo


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