Lampedusa, migranti tunisini si cuciono la bocca Protesta contro rimpatri e permanenza nell’hotspot

Sanno che il loro destino è segnato, con il rimpatrio dovrebbe toccare a ognuno di loro in quanto migranti economici. Tuttavia la speranza rimane quella di convincere le autorità a concedere loro l’opportunità riservata a chi proviene da paesi riconosciuti dall’Unione europea come teatri di guerra o comunque luoghi dove il rischio di subire persecuzioni è alto. Si tratta di oltre 40 tunisini che da giorni hanno scelto di indire uno sciopero della fame all’esterno dell’hotspot di Lampedusa. Nelle scorse ore, la protesta ha riguardato anche atti di autolesionismo con alcuni migranti che si sono fatti cucire la bocca

Già ieri la situazione era stata messa in risalto dal collettivo Askavusa, che nell’isola delle Pelagie si batte da tempo per la chiusura del centro di identificazione. «Vogliono essere trasferiti come dovrebbero entro le 48-96 ore, non vogliono rimanere sull’isola e si oppongono ai rimpatri diretti da Lampedusa – si legge in un post pubblicato sulla pagina Facebook del gruppo -. È arrivata la polizia che sta parlando con loro. Abbiamo dato la disponibilità di diffondere un loro comunicato e di supportare la protesta».

I fatti di questi giorni arrivano a due settimane dal suicidio di un giovane tunisino, trovato impiccato all’esterno di una casa abbandonata poco distante dall’hotspot. Anche in quel caso, all’origine della decisione di farla finita ci sarebbe stato un disagio psichico subentrato in seguito alla permanenza a oltranza nell’isola. A fare discutere è stata anche la presunta segnalazione che alcuni connazionali avrebbero fatto al personale della struttura, chiedendo un aiuto concreto per il giovane. Sulla vicenda la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo conoscitivo.


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