L’affare dell’acqua privata, il governo Lombardo all’assalto dei Comuni

di Antonella Leto

Si scrive acqua si legge democrazia. Sul diritto all’acqua riconosciuto anche dalle nazioni unite, si misura il grado di democrazia delle nostre istituzioni. In Sicilia sul tema dell’acqua pubblica si è costituita la più grande coalizione di forze sociali riunite nel Forum dei movimenti per l’Acqua e i Beni Comuni, e degli Enti Locali di ogni provincia e di ogni colore politico, che hanno dato vita ad una mobilitazione democratica senza precedenti, per ampiezza del fronte e costanza nelle iniziative negli anni. La stessa coalizione sociale che, per la prima volta nella nostra Regione, sul tema della gestione pubblica del servizio idrico ha consegnato alla Regione un testo di legge promosso per iniziativa Popolare attraverso le firme dei cittadini e per iniziativa Consiliare attraverso le delibere di 135 Comuni ed una Provincia. La stessa coalizione che ha dato vita al comitato Referendario Regionale “2 SI per l’acqua Bene Comune”.

Crediamo che nessun partito o coalizione, né tanto meno il Governo regionale uscente, che per restare in carica è transitato da una coalizione all’altra, possa vantare la maggioranza dei consensi, così come avvenuto anche in Sicilia il 12 e 13 giugno del 2011 in occasione dei referendum.

Ebbene, 2.079.819 cittadine e cittadini, dopo 16 anni in cui nessun referendum raggiungeva il quorum, sono tornati alle urne per indicare con il 97,9% dei ‘Sì’ un indirizzo chiaro a livello nazionale, ma sopratutto all’amministrazione della nostra Regione. Ma in Sicilia, e forse anche in Italia, la democrazia fa paura.

La legislatura regionale si è chiusa senza che nessuna forza politica di maggioranza o opposizione abbia dato segno di volere portare in aula – cioè a Sala d’Ercole, la sede del Parlamento dell’Isola – per l’approvazione un testo di riforma complessiva per la gestione delle risorse idriche che avrebbe collocato la Sicilia all’avanguardia nel panorama nazionale ed in linea con la ripubblicizzazione dei servizi essenziali che i Paesi forti in Europa stanno portando avanti.

Se mai ve ne fosse stato bisogno, la classe politica siciliana ha offerto un’ulteriore conferma dell’incolmabile distanza che la separa dai bisogni e dalle attese della collettività, sacrificando l’approvazione del disegno di legge per la ripubblicizzazione del servizio idrico al grande partito trasversale degli affari che da sempre, al di là delle dichiarazioni di principio, si batte per una integrale privatizzazione del servizio idrico.

Oggi in Sicilia la battaglia per mantenere in mano pubblica e partecipativa la gestione della risorsa idrica ha assunto, ad un mese dalle elezioni, contorni paradossali.

Per ironia della sorte il 13 giugno scorso, ad un anno esatto dalla vittoria referendaria, l’Assemblea regionale siciliana, su proposta del parlamentare regionale del Pd, Giovanni Panepinto, unico deputato (e anche Sindaco di Bivona) che ha sostenuto l’iter per l’approvazione della legge, ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a sospendere i commissariamenti dei Comuni per la cessione delle reti ed impianti idrici ai gestori privati, nel tentativo di mettere in salvaguardia, almeno nel periodo di transito fino all’insediamento del nuovo Governo, i Comuni sotto attacco. Una misura preventiva che sarebbe inutile qualora il presidente della Regine uscente, Raffaele Lombardo, rispettasse le regole, dato che l’art. 6 della finanziaria 2011 prevede gli interventi sostitutivi ed istituisce l’albo dei commissari ad acta solo in materia di rifiuti. Ma conoscendo Lombardo e la sua “passione” per le gestioni private dei servizi idrici era parso opportuno.

Ignorando del tutto quell’impegno, il presidente Lombardo prima ed il neo-nominato assessore ai servizi di pubblica utilità, Claudio Torrisi, oggi, continuano a inviare commissari ad acta ai Comuni per completare la privatizzazione forzata del servizio idrico, pur in presenza di gravissime illegittimità che consiglierebbero di rescindere i contratti sottoscritti dai gestori o quanto meno di passare la mano al nuovo Governo, per consegnare definitivamente la preziosa risorsa alla speculazione di società private che hanno già pienamente dimostrato la propria incapacità gestionale.

Quello che sta accadendo in questi giorni, sotto il silenzio mediatico, è di una gravità inaccettabile. In provincia di Siracusa e di Agrigento le amministrazioni comunali ed i movimenti sono per l’ennesima volta mobilitati per impedire che i commissari entrino nei Comuni e consegnino in nome dei Sindaci gli impianti idrici ai privati.

Si tratta di atti che riteniamo illegittimi e che hanno il sapore dell’intimidazione, dato che i Sindaci vengono minacciati di pagare in solido il danno erariale procurato per avere difeso un diritto dei propri cittadini ed una chiara scelta politica di indirizzo che gli stessi Enti Locali hanno promosso non solo deliberando per la legge e sostenendo i referendum sull’acqua, ma anche modificando i propri statuti e dichiarando il servizio privo di rilevanza economica la cui gestione deve essere pubblica.

Sono in corso, in entrambe le province, i ricorsi dei Sindaci contro i gestori, la legittimità delle gare e gli interventi governativi. In più, ricordiamo che lo stesso Governo Lombardo, per testare la tenuta della nuova maggioranza con l’appoggio del Pd, nella finanziaria 2010 approvò a scrutinio segreto l’art. 49 con il quale implicitamente si riconoscevano le forzature avvenute nell’aggiudicare il servizio idrico ai privati e contemplando la possibilità di rescinderli per inadempienza. Malgrado in questi due anni sia stata più volte richiesta dalle conferenze dei Sindaci e dai movimenti l’applicazione di quell’articolo, per il quale ricorderete il Pd tappezzò la Sicilia di manifesti dicendo che l’acqua tornava pubblica, è rimasto lettera morta.

A Rosolini, in provincia di Siracusa, 14 Sindaci e gli attivisti dei movimenti per l’acqua il 20 settembre scorso si sono schierati all’ingresso del Comune per non fare entrare il commissario che, con il massimo della tracotanza, si è presentato accompagnato dai funzionari del gestore SAI 8. Non potendosi insediare in Comune, il commissario convoca a Palermo non i Sindaci, bensì il segretario comunale e l’ingegnere capo per dare seguito al suo insediamento. In provincia di Agrigento i Comuni stanno nuovamente deliberando per mantenere in mano pubblica l’acqua.

Il commissario nominato, sapendo che sarà respinto, si presenta a sorpresa per insediarsi nei Comuni per cui Sindaci ed amministratori hanno deciso di chiudere le porte delle case comunali e di presidiarle facendo entrare i cittadini, ma non il commissario, che racconta in giro di sapere come mettere a posto i Sindaci dissidenti. La verità è che si sta tentando, prima che la giustizia si esprima sui casi oggetto delle contestazioni, di forzare la mano pensando di potere piegare l’autonomia degli Enti Locali garantita dal titolo V della Costituzione, con un livello di intimidazione inaccettabile.

Siamo convinti che, come facciamo ormai da alcuni anni, anche questa volta resisteremo all’ennesima bordata. Giurisprudenza vuole che gli atti di un commissario illegittimamente nominato siano nulli. Ma quello che ci chiediamo è come sia possibile che un Governo dimissionario, ad un mese dal voto, possa pensare di incassare un risultato, la capitolazione dei Comuni e dei comitati cittadini, che in quattro anni è stato puntualmente bloccato da decine di mobilitazioni in tutta la Regione.

Tutti gli onorevoli deputati che, a parole, a cominciare dai capigruppo parlamentari si sono dichiarati per l’acqua pubblica, ma che nei fatti non hanno mosso un dito per approvare la legge, e che oggi in gran numero si presentano per essere rieletti, chiariscano ai propri elettori se intendono continuare a rispondere ai comitati d’affari o, per una volta, alla volontà popolare democraticamente espressa.

In questa campagna elettorale a base di sogni e rivoluzioni sarebbe straordinario il semplice rispetto delle regole, della democrazia e della Costituzione. I deputati in carica ancora per questo mese potrebbero, ad esempio, prendere posizione rispetto a quanto sta accadendo. Potrebbero, certo. Ma temiamo che, come avvenuto per le richieste d’incontro ai capigruppo a fine legislatura, anche questa richiesta cada nel nulla.

Forse è più utile appellarsi ai cittadini per chiedere loro di valutare con attenzione a chi affidare le scelte per il loro futuro. Si scrive acqua, e beni comuni, si legge democrazia.

Lombardo show: “Non tutti i consulenti scelti perché bravi”


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