Oggi la sentenza della prima sezione penale del tribunale etneo nel processo Revenge 5. L'inchiesta aveva acceso i riflettori su alcune piazze di spaccio sottratte ai Santapaola. Tra gli aneddoti anche i trasporti di droga con le ambulanze a sirene spiegate
La vendetta del clan Cappello, condanne per 113 anni Maxi stangata al cantante neomelodico Attilio Bellia
Niente sconti per il cantante neomelodico Attilio Bellia. L’uomo, ritenuto uno dei vertici del clan Cappello-Bonaccorsi, è stato condannato dai giudici della prima sezione penale del tribunale di Catania a 27 anni di reclusione. La sentenza rientra nell’ambito del processo di primo grado, con rito ordinario, nato dall’inchiesta Revenge 5, portata a termine dalla squadra mobile etnea a novembre 2015. Ultimo capitolo di una storia criminale che ha ricostruito gli assetti mafiosi in città, con l’ascesa del clan Cappello a discapito della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano, decimata dagli arresti e dai cambi di casacca. In totale ai 15 imputati sono stati inflitti 113 anni di carcere. Tra gli assolti Salvatore Rinaudo, per lui la procura aveva chiesto 16 anni e 6 mesi, e Carmelo Ruscica, conosciuto con l’appellativo di bananedda.
Dopo la reggenza del sanguinario boss ergastolano Sebastiano Lo Giudice, arrestato a marzo 2010, a prendere in mano il clan sarebbero stati, oltre ad Attilio Bellia e al fratello Gaetano, Fabio Reale e Francesco Di Mauro, quest’ultimo poi diventato collaboratore di giustizia. Il cuore degli affari sarebbe rimasta sempre la droga, e il quartiere Monte Po si era trasformato nel principale centro di stoccaggio cittadino a discapito della storica roccaforte di San Cristoforo. «C’è stata una discussione al carcere di Bicocca – raccontava Di Mauro mentre era intercettato – hanno detto che il quartiere forte per questa cosa è Monte Po». Attilio Bellia e Fabio Reale, entrambi condannati a 27 anni, avrebbe gestito cocaina e marijuana nonostante gli arresti domiciliari. Il primo, come ricostruito dagli inquirenti, incontrava gli affiliati del gruppo anche in una comunità di recupero a Viagrande, dove era stato temporaneamente collocato.
Le cose però non sempre sono andate lisce ed è grazie a uno scontro interno alla cosca che la polizia mette insieme i pezzi di questa inchiesta. A suscitare malumori era stata la gestione delle finanze da parte di Bellia. Costretto a restituire circa 200mila euro che dovevano essere investiti nel mercato della droga su precisa indicazione del boss detenuto Sebastiano Lo Giudice. Una parte di quei soldi però Bellia li avrebbe spesi in auto di lusso. E così per pagare i debiti si sarebbe mosso il fratello Gaetano, anche lui condannato ma nel processo d’Appello con rito abbreviato, restituendo il denaro a rate al padre del capomafia.
Nel 2009 insieme ai Bellia, un tempo appartenenti al gruppo del villaggio Sant’Agata dei Santapaola, il clan Cappello aveva accolto anche la famiglia Squillaci di Piano Tavola e i fratelli Mario, Marco e Alessandro Strano di Monte Po. A quest’ultimo gruppo sono legati da vincoli di parentele sia Reale sia Di Mauro. Alla carriera mafiosa Attilio Bellia ha affiancato anche una breve attività da cantante neomelodico. Il momento più alto nel 2016, insieme al cantante Daniele De Martino, con la registrazione del singolo È stata lei.
La sentenza
Fabio Reale, 27 anni;
Attilio Bellia, 27 anni;
Massimo Squillaci, 12 anni;
Natale Cavallaro, 4 anni in continuazione della condanna del 10 novembre 2011;
Antonino Riela, 4 anni e 18mila euro di multa, assoluzione per il capo C;
Rosario Noè, 4 anni e 18mila euro di multa;
Tommaso Ingrassia, 6 anni e 27mila euro di multa;
Claudio Speranza, 13 anni e 4 mesi;
Salvatore Spampinato, 4 anni e 2 mesi e 18mila euro di multa;
Sebastiano Romeo, 4 anni e 2 mesi e 18mila euro di multa;
Francesco Belluardo, 4 anni e 2 mesi e 18mila euro di multa;
Gregorio Luminario, 4 anni e 2 mesi e 18mila euro di multa;
Carmelo Ruscica, assolto perché il fatto non sussiste;
Salvatore Rinaudo, assolto per non avere commesso il fatto;
Massimiliano Ventura, assolto per non avere commesso il fatto.