La Tunisia dopo il voto vista dalla Sicilia

Tre quarti d’ora, in aereo, occorrono per andare da Palermo a Tunisi. Tra le 16 e le 24 ore, con un bel canotto, occorrono per arrivare in Sicilia dalle spiagge tunisine. Nel primo caso la destinazione è, normalmente, un lussuoso albergo 5 stelle per 40 euro a notte, tutto incluso. Nel secondo caso la destinazione è, nei casi più fortunati, un centro accoglienza con niente incluso.
Eppure sono stati, tra il gennaio e il settembre del 2011, decine di migliaia gli uomini e le donne che, dalla Tunisia, sono sbarcati a Lampedusa. Con grande sorpresa, inizialmente, e costernazione in seguito, dell’opinione pubblica italiana. Ma come? Hanno fatto la rivoluzione, hanno cacciato il rais, adesso sono liberi e vengono in Italia? Ma che storia è questa?
Già, che storia è questa?

Sostenitori del Partito Democratico Progressista - Fonte foto: Freedom house

Vale la pena partire da queste domande per parlare di quello che accade a poche centinaia di chilometri dalle coste siciliane. Perché quello che accade da quelle parti è per la Sicilia (e per la stessa Europa) non un fatto qualsiasi; è un fatto di cui tenere conto per gli anni a venire. Perché siamo troppo vicini alla Tunisia, come alla Libia, come all’Algeria, per potere disinteressarci di quello che accade a sud di Lampedusa. Non solo per via dei barconi di immigrati, ma perché questo Mediterraneo sta conoscendo una nuova stagione politica innanzitutto, ma anche economica e militare (come abbiamo avuto modo di raccontare con la questione del Muos e come dimostra la guerra in Libia). E la Sicilia non è la Lapponia la quale, in linea di principio, può infischiarsene altamente di quello che succede nel Mediterraneo. E questo giornale, e non è un inciso, non ha alcuna intenzione di infischiarsene del Mediterraneo.

Le ‘rivoluzioni di gelsomini’
Il gran parlare di “primavere arabe”, “rivoluzioni di gelsomini”, e altro ancora ha certo acceso i riflettori sulla sponda sud del nostro mare. Ma in quanti sono riusciti a comprendere il cosa, il perché e il come di questi avvenimenti? Quanti si sono interrogati su come mai in Tunisia il rais Ben Alì, nel giro di tre settimane, è stato costretto a scappare a rotta di collo in Arabia Saudita (dove si sono perse le tracce) e Gheddafi invece ha messo su una guerra internazionale con tanto di bombardamenti quotidiani Nato prima di morire in guerra?

Non è tutto uguale, non è tutto semplice. Occorre farsene una ragione, malgrado le discutibili generalizzazioni cui siamo stati abituati negli ultimi dieci anni (anche grazie a intellettuali quali Samuel Huntington, autore del famoso “Scontro delle civiltà” o alla nostra Oriana Fallaci). Occorre sapere distinguere tra la Turchia e l’Egitto, tra il Marocco e l’Indonesia, tra l’Afghanistan e la Libia, perché se è vero che tutti questi Paesi condividono l’Islam, per il resto sono più le differenze che le similitudini che prevalgono.
La Tunisia, ad esempio. E’ stata per un cinquantennio (dittature comprese), ovvero a partire dall’indipendenza dalla Francia, un Paese che ha garantito i diritti civili delle donne come nessun altro Paese musulmano, a parte la Turchia. Divorzio, aborto, estrema limitazione dell’uso del velo, scolarizzazione laica di massa sono stati al centro del regime di Bourghiba, l’artefice dell’indipendenza. Conquiste che non sono state messe in discussione nemmeno durante il ventennio di Ben Alì. E, malgrado le repressioni ed ogni sorta di limitazione agli altri diritti civili, primo fra tutti quello di parola – ivi compresa la censura su Internet – sono sempre esistite organizzazioni sindacali, altri partiti (più o meno succubi di quello di Ben Alì, ma pur sempre dotati di una certa autonomia) e una certa libertà nella stampa (valga a titolo di esempio il fatto che era possibile trovare nelle edicole di Tunisi “Le Monde Diplomatique” la rivista francese di politica internazionale mai stata tenera con il regime e che ha spesso ospitato articoli e dossier di esiliati).

I diritti delle donne? Non sono in discussione
Questa situazione generale, unita ad una grande apertura verso l’esterno, che ha avuto nel turismo di massa un suo volano, ha senz’altro reso la Tunisia culturalmente e politicamente più attrezzata verso la “modernità occidentale” rispetto al altri Paesi islamici. E’ talmente vero, questo, che il partito che ha vinto le prime vere e libere elezioni per la Costituente il 23 ottobre scorso (risultati ufficiali resi noti il 14 novembre) ha tenuto a rassicurare i Paesi occidentali che in tema di diritti civili per le donne non ci saranno passi indietro. La precisazione è importante perché questo partito, Ennada (rinascita), è di ispirazione islamica e il suo fondatore, R?shid al-Ghann?sh?, è stato un fervente integralista prima di andare in esilio a Londra una ventina di anni fa dove, pare, abbia calmato un poco le sue pulsioni.
Forse proprio questo atteggiamento verso le donne e questa apertura al mondo occidentale ha reso la Tunisia prerivoluzionaria tanto “simpatica” all’Unione europea (e agli Stati Uniti) che l’ha inondata di soldi per programmi comuni di sviluppo puntualmente disattesi da un regime familistico noto, e non solo ai tunisini, per una rapacità e una corruzione insostenibili che ha profondamente contagiato tutti i gangli della pubblica amministrazione. Un esempio di questa “benevolenza” ci è stato regalato dalla Francia che, durante i giorni delle rivolte di piazza (dicembre 2010, gennaio 2011) e prima della fuga di Ben Alì e della sua seconda moglie, l’odiatissima Leila Trabelsi, attraverso l’allora suo ministro degli Esteri, Michèle Alliot-Maire, offriva alla Tunisia il suo “savoir faire” in tema di sicurezza anti sommosse, salvo poi, a cose fatte, appoggiare incondizionatamente il governo provvisorio. Lungimiranza dei governi europei…
Eppure i tunisini, schiacciati da una crisi economica al limite della sostenibilità e da un governo tanto corrotto quanto repressivo, hanno avuto la capacità non solo di rovesciare un regime che sembrava eterno (ad ogni elezione presidenziale Ben Alì otteneva plebisciti intorno al 90 percento dei voti) ma, a parte i morti delle prime settimane, è riuscita a mettere su un processo di ricostruzione esemplare essenzialmente pacifico e democratico. Che ha portato, appunto, ad una Assemblea costituente la quale, nel giro di un anno, secondo le previsioni, dovrebbe riscrivere la Carta costituzionale e dare alla Tunisia un nuovo regime.
Ciononostante, per mesi abbiamo assistito agli sbarchi di tunisini sulle spiagge di Lampedusa. Come mai? Per il semplice motivo che era saltato il tappo: niente più controlli sulle coste e quindi via libera verso il paradiso occidentale. Di fronte alla scelta tra un futuro nella propria patria ancora tutto da scrivere e un futuro in Europa, migliaia di giovani, anche quelli insorti per le strade, non hanno avuto dubbi. E se si sono fermati i barconi è solo merito di accordi economici tra l’Europa e la Tunisia, c’è da scommetterci.

L’Assemblea costituente

Logo Partito Comunista Tunisino

Tuttavia malgrado un certo scetticismo di fondo verso il futuro della Tunisia (testimoniato fra l’altro da un tiepido 54 percento di elettori che si sono recati alle urne) il cammino verso la costruzione di un nuovo Stato è stato intrapreso con decisione. Certo, su come sarà questo nuovo Stato è difficile fare previsioni. Ma ci sono alcune cose interessanti che vale la pena di sottolineare. La prima è che l’Assemblea costituente non ha una maggioranza assoluta di islamisti (Ennada ha 89 deputati su 217) e quasi tutti gli altri partiti sono centristi o di centrosinistra e prevalentemente laici (è presente perfino una pattuglia di comunisti, 3 deputati per la precisione).
L’altra cosa incoraggiante per un futuro democratico e pacifico della Tunisia è dato dall’assenza di petrolio sul suo territorio che, ad occhio e croce, dovrebbe garantirle una vita più serena rispetto ai sui vicini quali la Libia e l’Algeria, se non altro per le minori attenzioni da parte di potenze straniere largamente interessate alle fonti energetiche tradizionali.

Tunisia e Sicilia
Infine un altro dato di cui tenere conto è la vicinanza geografica con l’Europa e la Sicilia in particolare. Con la Tunisia, la Sicilia intesse relazioni commerciali ed umane da sempre (dai cartaginesi che fondarono Palermo, ai berberi islamizzati che conquistarono la Sicilia fino alla “medina” di Mazara del Vallo che ospita una vera e propria colonia di tunisini principalmente occupati nella flotta peschereccia). La Tunisia è davvero “troppo” vicina per poterci consentire di metterla nel dimenticatoio: è una specie di spada di Damocle sulla nostra testa. Tanto più la Tunisia riuscirà ad essere un Paese pacificato, economicamente equilibrato e politicamente stabile, tanto meno i barconi riprenderanno ad ‘invadere’ Lampedusa e tanto più la Sicilia avrà aperte possibilità commerciali e di sviluppo interessanti. E chi lo sa? Magari il viaggio in aereo di tre quarti d’ora non sarà più solo una prerogativa dei siciliani, ma anche dei tunisini che verranno a fare i turisti per le vie delle nostre città.

Risultati definitivi delle Elezioni per l’Assemblea costituente svoltesi in Tunisia il 23 ottobre 2011

Elettori: 8 289 924
Votanti:54,1%
Seggi: 217

Ennadha (centristi di ispirazione islamista): 89 seggi
Congresso per la Repubblica (partito di ispirazione laica e centrista): 29 seggi
Al Aridha (partito populista fondato da un magnate tunisino emigrato a Londra): 26 seggi
Ettakatol (partito socialdemocratico): 20 seggi
Partito democratico progressista (partito preesistente alla rivoluzione e di ispirazione socialista): 16 seggi
Al Moubadara (partito di centro destra assai vicino all’ex partito di Ben Alì): 5 seggi
Polo democratico modernista (partito anti islamista): 5 seggi
Afek Toune (partito laico e centrista): 4 seggi
Partito comunista: 3 seggi
Movimento dei democratici socialisti: 2 seggi
Movimento del popolo (partito laicista): 2 seggi
16 altre liste hanno ottenuto ciascuno 1 seggio

 

Cesare Verro

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