La tratta dalla Nigeria che a Palermo non vede nessuno «Meno sbarchi ma sempre più schiave, specie minorenni»

«La diminuzione dei flussi migratori c’è stata, è vero, ma le organizzazioni criminali hanno una tale capacità di penetrazione culturale e sociale che riescono sempre ad adattarsi al contesto mutato». La ricercatrice 
Rafaela Hilario Pascoal applica la propria considerazione a un fenomeno ben specifico, la tratta di donne che dalla Nigeria ogni anno diventano vittime di tratta destinate allo sfruttamento sessuale. Eppure la riflessione potrebbe estendersi alle politiche di controllo e repressione degli sbarchi che il governo Lega-5stelle, in assoluta continuità con la linea tracciata dal precedente ministro degli Interni Marco Minniti, porta avanti. E non un è caso che una valutazione del genere arrivi da Palermo. Dove il fenomeno della tratta di esseri umani, seppur sottovalutato, è molto presente. Basti pensare che secondo i dati diffusi da Pascoal nel 2013 sono appena 434 le donne nigeriane che sono entrate in Europa, mentre nel 2016 aumentano vertiginosamente a 11.009.  A ciò va aggiunto il ruolo di Black Axe, la potente e violente mafia nigeriana che, specie a Ballarò, ha un ruolo preminente nello sfruttamento e nella gestione della prostituzione.

La ricerca
Stranded: The new trendsetters of the Nigerian human trafficking criminal networks for sexual purposes, condotta dalla ricercatrice Rafaela Hilario Pascoal nell’ambito del Progetto BINIs – Best Practices in tackling trafficking Nigerian Route, finanziato dalla Commissione europea, si propone di fornire un quadro più chiaro della situazione. Già il nome della ricerca, Stranded ovvero bloccate, segnala che queste donne – giovani e adolescenti che dal Continente africano finiscono sulle strade italiane e in altri paesi dell’Unione Europea – non riescono più né ad andare avanti né a tornare indietro. E rimangono confinate per anni in un limbo fatto di sopraffazione e dolore. «Sono persone incastrate in un luogo non loro tra un sistema politico e normativo che le soffoca e l’apparato criminale che le controlla».

La ricerca
Stranded si basa principalmente sulla rilevazione di dati raccolti attraverso 30 interviste semi-strutturate a fonti secondarie («non fonti primarie per una questione di delicatezza»), in contatto con potenziali vittime nigeriane della tratta di esseri umani: avvocati, pubblici ministeri, agenti di polizia, rappresentanti di associazioni anti-tratta, mediatori culturali, assistenti sociali, volontari delle unità di strada, etnopsicologi e psicologi specializzati sul tema, ma anche professionisti del mondo della sanità o che lavorano con minori non accompagnati. La ricerca è stata inoltre arricchita a partire dalla consultazione della letteratura già esistente e dall’analisi del quadro giuridico nazionale riguardante le vittime di tratta e i richiedenti asilo. E che ha visto il supporto del Ciss, la ong palermitana che si occupa di cooperazione internazionale

Non è la prima volta d’altra parte che il Ciss si occupa del tema. Nel 2016 la documentarista
Giorgia Amodio ha realizzato un corto – Nigerian Italos, trafficking in Palermo – proprio in collaborazione con la ong. Un lavoro completo che raccontava, a partire dalla testimonianza di un’ex vittima di tratta, anche le percezioni palermitane del fenomeno e le zone della città dove le donne vengono costrette alla prostituzione – Ballarò, Kalsa, la Favorita su tutte. Tra indifferenza e moralistiche condanne, con le vittime che subiscono persino angherie dai giovani annoiati. Da quel lavoro di due anni fa è cambiato qualcosa? «Purtroppo non molto – afferma Margherita Maniscalco, project manager del Ciss – In quel documentario ci confrontavamo con il fenomeno della tratta nigeriana sul territorio di Palermo in una situazione più o meno stabile. Ma dal 2016 c’è stato un incremento esponenziale di donne, e anche di minori (che è stato un fatto nuovo), provenienti dalla Nigeria e che attraverso il Mediterraneo centrale giungono in Sicilia. In questo lasso di tempo l’isola è diventata l’approdo principale della tratta nigeriana in Europa. Ecco perché la necessità di collaborare a livello internazionale. Quello che abbiamo visto a Palermo negli anni è stato un abbassamento dell’età delle giovanissime donne, spesso minori, che vengono portate in strada».

Oggi la situazione sta di nuovo cambiando. La ricerca
Standed riporta dati relativi al 2017, fino agli inizi del 2018. Ma cosa sta succedendo oggi, col governo che sbandiera da mesi la riduzione degli sbarchi e che, almeno nella narrazione dominante, dovrebbe portare a una relativa diminuzione del fenomeno della tratta? «Non dobbiamo pensare che la tratta finirà in questo modo – afferma Maniscalco – Intanto perché si tratta di numeri ingenti, e comunque ci riferiamo a donne che sono ancora qui in Italia, dove continuano ad essere sfruttate. È con questo aspetto che bisogna far fronte. Di più: le vittime di tratta spesso richiedono l’asilo, e visto che l’andazzo è quello di aumentare i dinieghi, saranno persone ancora più vulnerabili. Inoltre, anche se la Sicilia non dovesse essere più la meta privilegiata della tratta, come è avvenuto negli ultimi anni, questo non vuol dire che il fenomeno finirà e che non arriverà comunque in Italia. Probabilmente verranno preferite altre coste, per questo monitorare la situazione resta fondamentale». Un aspetto confermato anche dalla ricercatrice Pascoal. «La mia ricerca – dice – si inserisce all’interno di un cambiamento sia nella quantità dei flussi migratori sia nella normativa europea e dunque anche italiana. Un cambiamento che viene sfruttato dalle organizzazioni criminali per deportare in Italia il maggior numero di donne possibili, costrette poi a prostituirsi. E ho cercato di capire anche i motivi di questo aumento così eclatante dei flussi».

Da qui dunque nasce la necessità del Ciss di incontrarsi con le
organizzazioni della società civile nigeriana, attraverso un lavoro di coordinamento internazionale che parte anche dalle relazioni col territorio palermitano – in città esiste già il coordinamento antitratta Favour e Loveth (dal nome di due giovani vittime della tratta) e  il Comune ha da tempo istituito un tavolo ad hoc.  La tre giorni che partirà da oggi sarà dunque, nelle parole di Margherita Maniscalco, «un’importante occasione di dialogo e confronto per un territorio che da anni sta provando a capire come prevenire la tratta mettendo insieme punti di vista che naturalmente saranno diversi. Con la speranza di fornire strumenti per collaborazioni che dovranno proseguire nel tempo».


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