Ho letto i messaggi dei nostri studenti. In questi mesi la malattia e poi la scomparsa di Silvana hanno portato disagio e confusione, ma anche qualche lucente pagliuzza di chiarezza. Lei e io abbiamo avuto molti confronti, litigi e riconciliazioni. Credevo, conoscendola da trentacinque anni, di saper tutto di lei. Invece alcuni dettagli colti dagli studenti mi fanno credere che mi ingannavo.
Uno di loro parla del suo sguardo “severo eppure stranamente dolce”, “dei suoi piccoli scatti di rabbia quando uno studente non la capiva”. Molti si dichiarano orgogliosi di avere la sua firma sul loro libretto, e ricordano di aver fatto con lei discussioni filosofiche su temi che io credevo fossero solo appiccicati alla superficie della loro mente, appresi solo per compiacere docenti stravaganti come Silvana e me stesso.
Invece forse non è così. Ne ho discusso anche con Luigi Lentini, un collega e un amico di Silvana e mio che ha insegnato a Catania, alcuni anni fa. Forse i ragazzi vogliono sembrare più cinici di quanto in realtà non siano o forse, più semplicemente, io non li capisco bene. Ma non ha importanza. Quel che ha importanza è, allora, che forse il nostro lavoro non affonda nel nulla e vale la pena di condurlo avanti, pur in mezzo a tante difficoltà.
Quindi, gli stucchevoli slogan di chi dice che l’Università è ormai ridotta a un liceo sono falsi. I ragazzi si attendono molto da noi e sono disposti a ricambiare se si riesce a venir fuori dalle nostre beghe e limitazioni e a dar loro quel che si deve dare. Forse l’approssimazione di Silvana – che tutti conoscevamo e che io spesso non capivo – serviva proprio a rendere possibile e difendere la sua risposta generosa alle soverchianti difficolta’ del presente, che non possono essere battute solo con rigore e precisione. La sua “strana dolcezza e severita’ ” costituiscono una sintesi forte e non effimera.
E’ stato bene comprenderlo, anche se solo all’ultimo momento.
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