Si è accesso un grande dibattito intorno all'articolo pubblicato da repubblica, a firma di francesco merlo, secondo cui i mali della sicilia sono ascrivibili allo statuto siciliano.
La Sicilia Indipendente dagli ascari …
Si è accesso un grande dibattito intorno all’articolo pubblicato da Repubblica, a firma di Francesco Merlo, secondo cui i mali della Sicilia sono ascrivibili allo Statuto siciliano.
Noi non capiamo il perché di tanto clamore. Merlo, come la maggior parte dei siciliani, evidentemente non conosce per intero lo Statuto. Una ignoranza che LinkSicilia denuncia fin dalle sue origini. La colpa non è né di Merlo, che è un bravo collega, che, comunque, lavora per una testata nazionale, né dei siciliani a cui lo Stato italiano non ha insegnato la storia vera.
Comunque l’articolo di Merlo ha suscitato reazioni, anche la nostra, come vi abbiamo raccontato negli articoli in allegato. Su questo tema, riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione di un lettore, Giuseppe Pitruzzella, esponente di Siciliani in Movimento, che ci scrive da Favara:
“Così, accade che la verità venga scritta, ma non sia letta e se letta, non creduta; e se creduta, non presa in considerazione; e se presa in considerazione, non tanto da cambiare i comportamenti, da indurre ad agire “di conseguenza”.
Questa è parte della prefazione che il giornalista e scrittore Pino Aprile scrive nel suo capolavoro, Terroni, ed è una fase che troppo spesso è emblematica di una cultura che, succube di oltre 150 anni di occupazione, fa passare i carnefici per eroi e gli eroi per criminali. Una cultura che diffonde l’idea che, lo Statuto siciliano, sia un peso.
Certo effettivamente ad oggi lo è. In quanto applicato solo nelle parti sfavorevoli. Mi riferisco ai deputati che percepiscono indennità elevatissime, o alle migliaia di impiegati e dirigenti con stipendi da nababbi che non sono sufficienti ad adempiere al loro dovere ed hanno bisogni di consulenti che vengono pagati anchessi a peso doro.
Ma se il governo centrale, avesse nel tempo, applicato per intero lo Statuto, oggi non staremmo così. Si pagherebbero men tasse e, soprattutto, si investirebbero sul territorio siciliano. Cosa che provò a fare il Presidente della Ragione siciliana, Silvio Milazzo, poco prima del 1960, in un governo in cui si riunirono assieme padroni e servi, sfruttatori e sfruttati, per rivendicare lidentità Siciliana e per far risorgere la Sicilia da una dominazione che l’ha massacrata.
Purtroppo, nella realtà, lo Stato centrale, è sempre stato chiuso alle rivendicazioni siciliane. A questo si aggiunge il fenomeno dellascarismo: si inizia a parlare di i chi dugnu tu chi mi duni . Si svendono i bisogni e la storia dei siciliani nel nome dei privilegi di una casta trasversale. Ricordiamo anche che, il 7 giugno del 1959, lepiscopato siciliano invitò espressamente a non votare per il partito di Milazzo, tantè che nel 1960 finisce lera Milaziana ed inizia quella dei vari ascari.
Ai nostri giorni troviamo lapoteosi di un epoca di disfattismo in cui si è enfatizzato il principio del do ut des, in cui lonesta diviene motto elettorale e non condizione essenziale ed imprescindibile di ogni cittadino. Il tema Statuto viene affrontato come una macchia di un passato che va dimenticato, scordando il sangue dei nostri Fratelli ed Eroi che lottarono per ottenerlo e per liberare la Sicilia e quindi anche lItalia dal fascismo.
Lo Statuto nasce come patto tra due nazioni,la Sicilia e l’Italia, e dal grande senso di civiltà di grandi uomini quali Andrea Finocchiaro Aprile, Don Luigi Sturzo, il favarese Gaspare Ambrosini e molti altri che trovarono nello Statuto il compromesso per evitare altro sangue. Per riscattare lidentità Siciliana, l’identità di un Popolo che ha uno dei più antichi Parlamenti del mondo, e una storia millenaria e particolare.
Ma oggi che si parla di Europa ha più senso parlare di Indipendenza e di Autonomia? Ritengo che oggi più di ieri la Sicilia abbia bisogno di essere Indipendente. Innanzitutto Indipendente dall’ascarismo, che come un tumore sta distruggendo la nostra Terra”.
Ing. Giuseppe Pitruzzella
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