La sfida impossibile degli alunni disabili per andare a scuola «Siamo senza assistenti: devo portare io mio figlio in bagno»

Scuola e inclusione, spesso, sono due parole che sentiamo pronunciare insieme. In alcuni casi, però, le frasi non si tramutano in fatti. Oggi in Sicilia le ragazze e i ragazzi disabili fanno difficoltà a frequentare la scuola perché molti Comuni dell’isola non possono pagare gli assistenti igienico-personali. Un caso emblematico è quello di Graziella Massimino, mamma di Claudio e Giulio, due gemelli di 15 anni affetti da tetraparesi che frequentano gli istituti superiori Brunelleschi e Ferraris di Acireale. «Dall’inizio di quest’anno scolastico, abbiamo patito troppe difficoltà – racconta la donna a MeridioNews – Devo essere io stessa ad andare a scuola, portare in bagno mio figlio e, se è il caso, cambiarlo: gli operatori scolastici non se la sentono di prenderlo in braccio e li capisco, perché non è un compito facile».

Al momento, uno dei due ragazzi frequenta la classe mentre l’altro, invece, resta a casa. «Quando vado a scuola a cambiare il primo, con l’altro ci teniamo sempre in contatto con il cellulare – continua la madre – Proprio tre giorni fa, è capitato che ho trovato mio figlio che si era fatto i bisogni addosso perché nessuno lo ha potuto accompagnare in bagno. È dovuto andare a fare la terapia in quelle condizioni». Graziella è esasperata. «I dirigenti scolastici possono fare poco – sottolinea – Ma per noi genitori è difficile perché, per esempio, anche solo andare a lavorare sarebbe impossibile».

La storia di Graziella è uguale a quella di molte famiglie siciliane. I fondi per l’assistenza sono regolati da una legge regionale del 2004, secondo cui il servizio igienico assistenziale deve essere fornito dai Comuni per scuola per l’infanzia, elementari e medie. Mentre, per quanto riguarda superiori e università, sempre secondo il provvedimento, il servizio deve essere dato dalle Città metropolitane. Ma c’è di più: già da molti anni, alla luce di un decreto legislativo, tocca agli operatori scolastici del personale Ata il compito di dover portare in bagno o se, il caso, di prendere in braccio e alimentare gli alunni con disabilità. I Comuni e le Città metropolitane, dal canto loro, hanno destinato delle somme a favore di alcune cooperative con assistenti qualificati. Ma adesso, gli stessi enti pubblici, sembrano aver chiuso i rubinetti.

«Una situazione inverosimile», la definisce Michela Finocchiaro, mamma di una bambina che frequenta la scuola elementare ad Acireale. «I fondi per i servizi ci sono, ma il dipartimento regionale e i suoi dirigenti non hanno dato le linee guida su come spenderli – dice la donna – Così molti Comuni non hanno potuto far partire il servizio». Finocchiaro è la madre di Giorgia, una bambina che soffre di autismo e comunica soltanto attraverso immagini. È lei che insieme ad altre mamme ha fondato l’associazione 20 novembre a sostegno delle famiglie siciliane con disabili. «Qualche città sta potendo ancora dare il servizio perché ha risparmiato dei fondi durante il lockdown», osserva la donna.

Già da tempo, i genitori hanno chiesto spiegazioni all’assessore regionale alla Famiglia Antonio Scavone. Davanti agli appelli dei genitori, quest’ultimo ha chiesto parere al consiglio di giustizia amministrativa che, il 22 luglio scorso, ha ribadito le responsabilità di Comuni e Città metropolitane e ha confermato i compiti del personale Ata. «Scavone ci ha detto che avrebbe offerto un servizio migliorativo, ma niente è cambiato – commentano i genitori – A tutta risposta, attualmente, alcuni servizi li deve svolgere l’Asacom, una figura che dovrebbe occuparsi solo di risolvere le difficoltà comunicative dei bambini: ma adesso, pur di dare assistenza, è chiamata a svolgere compiti che gli non spetterebbero, con tutti i rischi del caso».

Per sbloccare la situazione, secondo Finocchiaro, sarebbe necessario fare chiarezza sui Piani di apprendimento individualizzato (Pai) previsti per redigere dei progetti su misura. «Se ci fosse davvero una linea precisa – dice la madre – forse i soldi che la Regione dichiara di aver previsto potrebbero essere spesi. Attendiamo che tutti i nostri figli – conclude – possano espletare il diritto a vivere come e con gli altri».


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