Nell'edificio nel quartiere Antico Corso, occupato trent'anni fa, oggi abitano le seconde generazioni. Dopo una sentenza del 2019 che ha dato ragione al Policlinico, ora «attendiamo valutazione da parte della prefettura», dicono a MeridioNews
La scure di un nuovo sfratto per le quattro famiglie di via Gallo «Abbiamo presentato un’altra proposta all’azienda sanitaria»
La data dello sfratto per le famiglie che, da oltre trent’anni, vivono nella palazzina di proprietà dell’azienda sanitaria del Policlinico – all’incrocio tra via Gallo e via Sant’Elena – è stata fissata per il 22 luglio. «Prima di allora, aspettiamo di essere convocati in prefettura per potere discutere della nuova proposta economica che abbiamo presentato per provare ad arrivare a un lieto fine di questa vicenda», spiega a MeridioNews Lara Torrisi del comitato Reddito-casa-lavoro che, insieme al sindacato Sunia, sta seguendo la vertenza dei quattro nuclei familiari che, nella prima metà degli anni Novanta, hanno occupato l’immobile nel quartiere Antico Corso. Adesso ci abitano pure le seconde generazioni, bambini e adolescenti che sono addirittura nati lì. Nei mesi scorsi, è già stato evitato uno sfratto per gli inquilini che da sempre chiedono di potere avere in locazione l’edificio – con un regolare contratto e il pagamento di un affitto – e lo hanno riqualificato spendendo dei soldi di tasca loro.
Da anni va avanti un contenzioso tra gli inquilini e l’azienda sanitaria proprietaria dell’immobile che a metà degli anni Duemila è finita in tribunale. In un primo momento, si era ipotizzato un accordo per 70 euro al mese ad appartamento. Una cifra non congrua secondo la relazione del consulente tecnico nominato durante il processo che si è concluso nel 2019 con una sentenza che ha dato ragione al Policlinico G. Rodolico San Marco. Nel frattempo, l’azienda avrebbe anche fatto dei passi indietro rispetto a un’iniziale volontà di trovare un’intesa con gli occupanti. Stando a quanto appreso da MeridioNews dietro ci sarebbe stato anche il timore che, una volta regolarizzati i canoni locatari, gli inquilini avrebbero potuto pretendere la ristrutturazione dell’immobile da parte del proprietario. Un impegno economico che l’azienda avrebbe giudicato non sostenibile. «Intanto, negli anni, sono sempre state le famiglie a farsi carico delle spese necessarie per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria», sottolinea al nostro giornale l’avvocato Nello Papandrea che difende alcuni dei residenti.
Negli ultimi tempi, a mediare tra le parti è intervenuta anche la prefettura. «Ora ci è stato assicurato che si tenterà di trovare un accordo soprattutto per evitare altre tensioni sociali su questioni abitative». L’ultimo incontro con le istituzioni risale a non più di due mesi fa: davanti al direttore del Policlinico Gaetano Sirna, alla prefetta Maria Carmela Librizzi e all’allora ancora sindaco Salvo Pogliese, gli inquilini hanno presentato una nuova proposta per la transazione economica per regolarizzare la loro situazione. Si tratta di famiglie in condizioni di disagio economico che, negli anni, hanno anche accumulato un debito (che in alcuni casi arriva anche a 70mila euro) per le quote di canone non versate. Dopo il rifiuto da parte dell’azienda sanitaria di un primo tentativo di accordo, «adesso abbiamo tenuto conto di quanto ci siamo detti anche negli ultimi incontri privati – riferisce l’attivista – e speriamo che questa volta venga accolta». Un lavoro dietro le quinte per evitare che gli inquilini si vedano di nuovo chiudere la porta in faccia. «Ci siamo attenuti alle richieste che erano arrivate dal Policlinico che ha soprattutto l’obiettivo di riprendere le quote dei danni erariali subiti da quando le famiglie sono entrate nell’edificio, più che sulle mensilità del canone di locazione». E, proprio in questo modo, è stata costruita la proposta economica con la sola richiesta da parte degli occupanti che il debito pregresso possa essere spalmato in 20 anni.
All’origine di questa storia c’è un lascito testamentario firmato da una donna che, negli anni Settanta, era ricoverata all’ospedale Vittorio Emanuele. In quel momento, alcune famiglie già abitavano nel palazzo, altre si sistemarono dopo negli appartamenti vuoti. «Senza di loro, anche questo immobile avrebbe fatto la fine degli altri – ipotizza Torrisi – che sono in stato di abbandono, chiusi, inutilizzati quando non addirittura inagibili». Eppure, a livello legale le somme spese per mantenere l’immobile in buone condizioni non sono state tenute in considerazione nei conteggi economici. «Questo mancato riconoscimento – spiega il legale – dipende dall’applicazione delle norme sull’occupazione. Ora auspichiamo che la proposta economica venga accolta e – aggiunge l’avvocato – continuiamo a chiedere l’opera di mediazione da parte della prefettura». Un terzo che possa bilanciare le due parti: da un lato l’azienda proprietaria, dall’altro famiglie che vivono per lo più con il reddito di cittadinanza e che restano in difficoltà economica. «Tra loro – conclude Papandrea – c’è anche una signora che ai tempi era assegnataria di un alloggio popolare di cui, però, non aveva potuto prendere possesso perché era occupato».