Gli anni 70 del femminismo, la rivoluzione culturale più imponente del secolo scorso. Tutto questo nel docu-film La politica del desiderio diretto da Manuela Vigorita e Flaminia Cardini proiettato venerdì scorso nellauditorium dei Benedettini
La ricchezza dellessere diverse
“Noi siamo donne che si vogliono occupare non solo delle case, ma anche delle cose”. Questo lo slogan pronunciato a voce alta da Anna Di Salvo, dell’associazione “La città felice” che irrompe come un tuono spento nelle orecchie dei presenti alla proiezione del film documentario “La politica del desiderio”, avvenuta venerdì scorso all’auditorium dei Benedettini.
Un tuono spento perché quello che salta agli occhi, vedendo la pellicola o anche solo ascoltando le tante voci che hanno preso parte al dibattito che ha avuto luogo dopo la visione, quello che salta agli occhi ed alle orecchie è l’amaro disincanto nei confronti di una società contemporanea che sempre più disattende quelle che furono le istanze di tanta lotta femminista.
Quello che salta agli occhi è lo scarto generazionale: poche giovani donne, testimoni di certi ideali d’emancipazione, intervistate nel documentario, pochissime quelle presenti alla proiezione catanese. Tanti gli uomini e le donne di una certa età che probabilmente hanno assistito in prima persona a quel cambiamento culturale che oggi si sta affievolendo sempre più. Spettatori inermi di un mondo che ha tradito le loro utopie.
Il movimento femminista sembra non interessare le nuove generazioni di ragazze e donne, che non hanno la consapevolezza di quanto esso sia stato importante per l’affermazione dei loro diritti. Eppure i problemi da affrontare ci sono e sono tutti contemporanei. Proprio di questo parlava Anna Di Salvo quando ha lanciato una provocazione scabrosa: “La parità nuoce alla libera espressione femminile”.
Quando dopo il sessantotto e le contestazioni studentesche, le forze politiche, soprattutto di sinistra, hanno fatto proprie le ragioni del movimento femminista, prerogative prima soltanto maschili, come la politica, si sono aperte alle donne. Questa apertura, come viene sottolineato esplicitamente nel cortometraggio, è stata protratta attraverso un’idea egualitaria e di parità che di fatto ha portato molte donne ad omologarsi ai modelli maschili.
Così è evidente come oggigiorno quella liberalizzazione dei costumi, così fraintesa, ha fatto sì che giovani donne ambissero ad acquisire i peggiori difetti del mondo maschile: dal banale vizio del fumo, all’ostentazione volgare del corpo ad uso e consumo delle perversioni degli uomini.
Il documentario, tra l’altro presentato quest’anno al festival internazionale di Roma, con un linguaggio asciutto e ben strutturato, fa emergere delle figure di donne-simbolo della storia del femminismo ripercorrendone le tappe fondamentali. Interessanti le interviste fatte alle donne (ma anche agli uomini) dell’associazione catanese “La città Felice” e “La Merlettaia” di Foggia.
Viene a galla innanzi tutto la volontà di imporre il mondo femminile come mondo alternativo e differente rispetto a quello maschile, istaurando però una comunicazione costruttiva ed edificante tra le due realtà. La stessa Adriana Sborgiò, una delle tante protagoniste del documentario, ha sottolineato (forse esagerando un po’) come fra uomo e donna l’unico aspetto in comune sia la comunicazione. Questo però deve essere visto come qualcosa di estremamente positivo: le differenze sono molte, ma è questa la grande ricchezza che, se compresa, può portare ad uno sviluppo sano della società.