Piazze, luoghi di aggregazione, spazi verdi, tantissimi spazi verdi studiati, disegnati, messi a punto, ma che non hanno - e che in alcuni casi non vedranno mai - visto la luce. Viaggio nel libro dei sogni, o degli inganni, che raccoglie tutte le opere faraoniche che avrebbero dovuto rivoluzionare la città e che invece sono spesso naufragate in un nulla di fatto
La Palermo del futuro nei progetti mai realizzati Dallo Zen al lago Maredolce, non sono tutti persi
La recente proroga fino al 28 febbraio del cantiere di via Emerico Amari, che da quasi quattro anni divora l’importante arteria che dal porto conduce fino a piazza Castelnuovo, al Politeama di Palermo, fa sembrare quasi fantascienza le voci e persino i rendering che pochi mesi fa erano stati rispolverati insieme alla vecchia idea di una via Amari come la rambla di Barcellona. Un’ampia area pedonale, verde, panchine, sottolineavano la camminata dalla piazza principale del nuovo centro cittadino all’imbocco della via del mare, ma al momento i residenti si accontenterebbero anche solo di poter attraversare la strada in cui vivono, qualsiasi altro discorso, seppure suggestivo, sarebbe superfluo. E così il progetto, oltretutto conteso in tempo di elezioni, fra fazioni politiche finite comunque all’opposizione, resterà in congelatore ancora per molti anni.
Quello delle fortune politiche della fazione che lo sostiene è solo uno dei motivi per cui un progetto faraonico viene accantonato, ma non è da poco. Lo sa bene quel che resta del faraonico spazio verde che avrebbe dovuto sormontare e in alcuni casi affiancare i binari attorno alla stazione Notarbartolo. Un’area di quasi 20mila chilometri quadrati che era finita persino in vendita, con tanto di foto del progetto, su un sito statale per la promozione e la dismissione di beni appartenenti a enti pubblici. Ma il fortunato acquirente avrebbe atteso invano i lavori per la realizzazione della «copertura della trincea – come si legge nella presentazione – e la progettazione di una piastra di verde pubblico e servizi di circa 160mila metri quadri» all’ombra di «un grattacielo di 144 metri» nei pressi del nuovo «Portale della città: un grande edificio pubblico con funzioni di stazione ferroviaria, mediateca del contemporaneo, attività ricettive speciali e luoghi di interesse generale». Tutto cancellato con un colpo di mano da passante ferroviario e tram.
E poi ci sono quei progetti che mietono persino premi e consensi in giro per il mondo e che però in patria nessuno ha mai voluto degnare di una chance, all’atto pratico. È il caso del progetto di Rigenerazione urbana dello Zen a firma dell’architetto romano Ettore Maria Mazzola. Corteggiato e poi abbandonato da molte sirene politiche, il lavoro del professore dell’università statunitense id Notre dame, rappresenta una lucida visione di come gli ormai tristemente noti padiglioni di edilizia popolare potrebbero lasciare il posto a un quartiere pensato come tale, che riesca a togliere dalla situazione di ghetto in cui si trovano gli abitanti di San Filippo Neri. L’operazione sarebbe costosa e spesso è stata archiviata con un semplicistico «si vuole demolire lo Zen», ma lo studio sulla fattibilità è già stato ampiamente condotto, mentre sui costi esorbitanti dell’impresa si tratta delle stesse somme che molte città francesi hanno affrontato per demolire e riconcepire le proprie periferie-ghetto. «Ho voluto dimostrare, attraverso un progetto – ha detto a MeridioNews Mazzola – che seguendo la prima normativa sull’edilizia popolare, quella del 1903, non solo è possibile riqualificare le aree, ma anche generare guadagni pubblici tramite la vendita di alcuni immobili e dei negozi». Con uno Zen che diventerebbe, in pratica, una sorta di nuovo quartiere Matteotti, con tanto di piazze, centri aggregativi e chiese. E sempre parlando di Zen, tra i progetti confinati a diciture sul libro dei sogni si potrà ormai ascrivere anche il tanto discusso nuovo stadio del Palermo.
Ma di tanti progetti destinati a rimanere tali, ce n’è uno che – almeno nei sogni di chi ci crede – va avanti ed è quello del ritorno del lago di Maredolce, quello che dal castello un tempo si estendeva fino alle aree ora occupate dall’autostrada. Entrando dentro al fantastico monumento di Brancaccio si può ammirare un plastico con il lago, splendido e rigoglioso, che si incunea sotto ai pilastri della Palermo-Catania. Un’idea che oggi sembrerebbe ancora permeata di follia, ma che in realtà potrebbe vedere la luce in un futuro non troppo remoto. «Abbiamo fatto noi quel modellino, insieme ai ragazzi delle superiori» racconta Domenico Ortolano, presidente dell’associazione che del castello di Maredolce porta il nome e che segue capillarmente le vicende legate a quello che è ormai uno dei monumenti dalla storia più controversa di tutta Palermo. E nonostante la difficoltà enorme che sembra ostacolare la fattibilità del progetto, un po’ di fiducia è d’obbligo s’è vero, com’è vero, che si tratta della stessa associazione che anni fa sosteneva di essere in grado di mandare via i tanti abusivi che soffocavano la struttura, impresa che sembrava molto più ardua della realizzazione del lago stesso. «E invece giusto pochi mesi fa anche l’ultima casa è stata demolita – prosegue Ortolano, che annuncia anche la ritrovata vitalità del progetto – A breve uscirà un bando da due milioni e noi abbiamo già fatto richiesta. Inoltre – conclude – la prossima settimana lanceremo uno studio sulla fattibilità che ci dirà come muoverci».