La nave fantasma, tra comicità e tragedia

La comicità che racconta una tragedia. Quando il silenzio si trasforma in un rumore assordante. “La nave fantasma”, di Bellu, Sarti e Storti, portata in scena giovedì 3 marzo al Teatro Tezzano di Catania, racconta la tragedia del Natale ’96, quando nello specchio di mare al largo di Portopalo, in un drammatico naufragio, morirono 289 clandestini che, disperatamente, cercavano di arrivare nella nostra terra, di sbarcare in Sicilia.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro della Cooperativa di Milano, è un viaggio nella tragedia, nel cinismo, nell’indifferenza che hanno segnato questa vicenda. Bebo Storti e Renato Sarti, unici due attori in scena, con uno spettacolo “povero” provano a raccontare ciò che successe prima, durante e dopo la notte del 25 Dicembre 1996. E’ il racconto  di una spaventosa e cosciente rimozione  collettiva, che si incrocia con una triste comicità nelle due ore e mezzo di spettacolo.
Ecco un appunto. Il testo è sicuramente un tributo, quasi una cerimonia, ma probabilmente troppo lungo, non perché non riesca a coinvolgere il pubblico per tutta la sua durata ma perché in alcune parti, ci sembra digredire verso un eccesso di rappresentazione. Quasi una voglia inesauribile di affabulare, di narrare. Come se al drammatico silenzio che, per almeno quattro anni, ha circondato questa storia debba porre riparo il testo portato in scena.
Bebo Storti è bravo, è comico, riesce a essere drammatico come il suo compagno Renato Sarti che firma anche la regia. Il pubblico viene coinvolto, ride, si sgomenta. Soprattutto riflette. E’ comunque un pugno nello stomaco, un viaggio nel dolore. Una storia di “ordinaria emigrazione” e di “contemporanea indifferenza”. Ma c’è qualcosa che sembra essere in più, forse un leggero cedimento ai toni comici, e sicuramente un forte impianto ideologico.
E’ comunque uno spettacolo godibile, che restituisce alla memoria ciò che qualcuno, purtroppo in tanti, hanno tentato di cancellare dai nostri ricordi. E’ un teatro di denuncia che non fa sconti a nessuno, alla gente di Portopalo come alla classe politica, di destra come di sinistra. Due ore e mezzo in cui comico, tragico e grottesco si mischiano continuamente. Un racconto semplice, lineare quasi giornalistico che concede più alla cronaca che allo spettacolo. Uno scorrere di immagini sulla realtà dell’immigrazione, di uomini e donne che dall’Asia come dall’ Africa cercano il loro Eldorado in Italia. Magari per finire in fondo al mare, dimenticati, o meglio rimossi da tutti. Lo spettacolo è sicuramente un omaggio a questa gente. Un tributo di uno spietato cinismo e di una feroce ironia . Esempio di teatro civile. In Italia se ne sente spesso la mancanza.

Giuseppe Lorenti

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