La natura dei sentimenti, dal 1943 a oggi La storia di Catania attraverso due famiglie

È la mattina del 16 aprile del ’43, siamo a Catania, viene dato il preallarme: le scuole sono fatte evacuare. Ci sono due ragazzini di 13 anni, Sergio e Maria, amici stretti, forse con le prime emozioni indefinite addosso, che si ritrovano liberi fuori dai banchi dello Spedalieri. «Andiamo al porto a vedere le navi arrivate stanotte». «Sei pazzo, è pericoloso, da un momento all’altro può scattare l’allarme!». «Le solite femminucce, io ci vado lo stesso». Non morì al porto di Catania, Sergio. Il suo corpo fu ritrovato intatto, sotto le macerie di un’ala del palazzo crollatogli addosso quello stesso giorno, dopo esser tornato dal porto, e aver raggiunto suo padre Alberto al negozio Mandosio di via Etnea, dove lavorava come direttore del calzaturificio. Sua madre Olga uscì fuori di testa, Maria fu mandata dai suoi genitori presso alcuni parenti a Parma – considerata più sicura – e Alberto prese sua moglie e l’unico figlio rimasto, Luigi di 9 anni, e partì per Milano senza guardare indietro. Un ultimo sguardo, però, Alberto dovette rivolgerlo per forza ancora una volta alla Sicilia e a Catania, quando tre mesi dopo cadde suo fratello, il tenente colonnello di artiglieria Erminio Sommaruga, al quale il nuovo Stato italiano riconobbe la medaglia d’oro al valore e intestò, successivamente, la caserma di Catania.

Passarono gli anni, ma non i ricordi. La mamma di Maria e la mamma di Sergio erano amiche e continuarono a frequentarsi: Anna andò a Milano e Olga e Alberto, dopo tanti anni, provarono a far ritorno a Catania, nel ‘61. Maria divenne medico pediatra, per curare i bambini – chissà quale bambino –, e quando si sposò, al primo figlio mise il nome di Sergio. La nonna Anna visse nella famiglia di sua figlia Maria fino alla propria scomparsa, avvenuta nel settembre del ’77, quando Sergio aveva esattamente 13 anni. E la sua vita cambiò per sempre – ve lo posso assicurare –, come quella di sua madre Maria ai suoi 13 anni. Sergio avrebbe detto che sua nonna Anna è stata l’unica persona a non averlo mai tradito. Poi il tempo usò la sua polvere magica a doppio effetto lenitivo, sia sulle vite delle persone passate che su quelle delle persone nuove, spose, mariti, figli, nipoti. E le corde che avevano unito si allentarono e si persero sotto questo nuovo strato rigenerativo.

Sergio Sommaruga, il ragazzino catanese morto durante i bombardamenti del 1943

Per quelle virgole che il destino si diverte ad arricciare, la svolta avvenne nel silenzio di una libreria di Catania, alla fine del primo decennio degli anni Duemila. Lo sguardo di Jolanda Trucco, insegnante in pensione, si arricciò su un libro blu col titolo in bianco Rua di Mezzo sessantasei, una famiglia. Jolanda lo prese e lesse che la storia era ambientata a Pedara, sulle falde dell’Etna, dove lei aveva villeggiato durante le estati passate insieme con la sua famiglia. «Lo compro e lo regalo a mia figlia!», pensò. Poi lesse il nome dell’autore, sconosciuto, un certo Sergio Mangiameli. Era quel Sergio, figlio di Maria, nipote di Anna, ora sposato con una figlia, che dopo la morte dei suoi genitori e la vendita della casa d’infanzia, si sedette al pc e iniziò a voler scrivere il libro per sua figlia, alla quale fece una dedica precisa: Ad Anna, la mia figliola.

Lasciamo stare il valore di bellezza che Jolanda attribuì a quel piccolo libro – non posso certo essere io stesso a elogiarmi –, ma fu inoppugnabile il fatto che presa dall’emozione della lettura, ne parlò a tutti i suoi figli un giorno a casa: dovreste leggerlo tutti, questo libro! Antonio, uno dei quattro figli di Jolanda, fa: «Ma io lo conosco, Sergio Mangiameli: è amico mio!». Così Jolanda mi volle conoscere, mi regalò una penna e un dovere: il tempo lontano dalla scrittura sia tempo sprecato. Parlammo dei personaggi del libro, mi domandò dei miei genitori, Girolamo e Maria, e di Anna, mia nonna. Poi mi disse che anche sua figlia si chiama Sandra, come mia sorella, ma concordammo che questa era soltanto una banalissima coincidenza.

Un pomeriggio dello scorso inverno, suo nipote Davide Gullotta organizza un incontro letterario in città, tema la guerra a Catania. E Jolanda ci va. Ascolta dei brani tratti dal libro di Salvatore Nicolosi, giornalista de La Sicilia, La guerra a Catania, appunto. Quando in un determinato momento, viene riportata la testimonianza di Maria Di Stefano Mangiameli sui fatti dell’aprile del ’43, il giorno in cui perse la vita il ragazzino Sergio Sommaruga. Jolanda, di ottima memoria, non perde tempo e dice a Davide che lei conosce il figlio di Maria. Luca Russo, un giovane uomo appassionato di storia e amico di Davide, è presente e non può fare a meno di ascoltare.

La piccola Maria Di Stefano, amica e madre dei due Sergio della storia: il compagno d’infanzia scomparso e il figlio che ne prende il nome

I giorni dopo, al lavoro – Luca è impiegato presso un operatore di telefonia mobile – riceve una chiamata da Milano: «Sono Cesarina Sommaruga, ho ricevuto il vostro avviso di vincita, mi dà conferma?». «Vincita? No, guardi, non mi risulta, ma mi scusi, lei come ha detto che si chiama?». «Cesarina». «No, il cognome Sommaruga per caso ha niente a che fare con un ragazzino morto a Catania sotto i bombardamenti nell’aprile del ’43?». «Era il fratello di mio marito Luigi, che non ho mai conosciuto. Ma mi scusi lei, come fa a conoscere questa storia?». In breve, succede questo: Luca racconta quel che può a Cesarina, detta Cicci, Cicci si scapicolla a raccontarla a sua volta a Luigi, detto Gigi, ora ottantenne ma attivo come un treno, anzi un aereo, che prenota immediatamente per luglio per conoscere la persona che porta il nome di suo fratello.

otto di luglio a Trecastagni la serata è fresca. Nella pizzeria, vengono uniti due tavoli per far posto a tutti i convenuti: Gigi e Cicci, la loro figlia Daniela con sua figlia di nove anni, Davide con sua moglie, Jolanda, Erminia figlia del colonnello Erminio Sommaruga, Luca, mia moglie Roberta, nostra figlia Anna e io. Gigi mi dona subito delle foto di settant’anni fa, mia madre bambina, mio nonno con i colori di mia figlia, mia nonna col nome di mia figlia… Io gli faccio dono del mio libro blu col titolo bianco – mi sembra il minimo, anche per rispetto alle parole scelte, che stavolta hanno saputo unire. Accanto a noi, mia moglie e io abbiamo salutato una persona che non vedevamo da undici anni: la prima baby-sitter di nostra figlia Anna, adesso sposata e con figlio. Il bambino è lì con loro, si chiama Sergio. Poi qualcuno fa notare il numero di uno dei due tavoli, 43, come l’anno in cui è morto Sergio. Qualcun altro a questo punto, si prende la briga di controllare il numero dell’altro tavolo unito al primo: è 30, come l’anno in cui è nato Sergio. Io ho fatto il conto dei coperti visibili, 12, più quello invisibile, Sergio, uguale 13.

Un’ultima cosa la devo raccontare per forza. Gigi mi dice che Olga non è stata la sua madre naturale, anche se l’ha sempre considerata così. La mamma di Gigi e Sergio si chiamava Anna, morta di cancro pochi anni dopo la nascita di Gigi e prima di ogni umano tangibile ricordo. La realtà, credo, può apparire più straordinaria della fantasia a quelle persone che insistono a viverla, e questa storia di uomini e donne passati, presenti e futuri, batte per emozione la fantasia. Adesso penso che Sergio, l’otto di luglio, fosse lì attorno ai due tavoli uniti, il 43 e il 30, assieme a noi, e si spostava felice tra l’uno e l’altro, il 30 e il 43, senza più distinzione di età, di inizio o di fine, col dolore allontanato dai nostri sorrisi e da qualche lacrima trattenuta. E penso anche che non c’è ragione di trovare la risposta alla domanda inutile che ogni giorno abbiamo sempre pronta in tasca: perché succede?


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