La morte di Giovanni Spampinato in un film «Ragusa dimentica, noi vogliamo sapere»

«Inquietante». E’ la parola che ricorre più spesso nei discorsi di Vincenzo Cascone, regista – insieme a Danilo Schininà – del lungometraggio L’ora di Spampinato. Una fedele ricostruzione, quasi documentaristica, degli ultimi otto mesi di Giovanni Spampinato, corrispondente da Ragusa dei quotidiani L’Ora di Palermo e L’Unità, specialista nel rivelare le trame del neofascismo nella Sicilia orientale e le sue collusioni con la criminalità organizzata locale. Morto il 27 ottobre del 1972 per motivi ancora da accertare, almeno secondo la giustizia. Chiari invece per chi in questi anni ha studiato la sua figura e le centinaia di pagine di indagine sulla sua morte. Tra questi, anche i due registi. «Ragusa ha rimosso questo delitto – spiega Cascone – Un omicidio che è quasi collettivo, perché dimenticato. “S’a cercau” è ancora una spiegazione molto attuale. Lo chiamavano “il rompipalle”».

Un lungometraggio che è una ricerca della memoria del passato ma anche una denuncia del presente. E che, per essere pronto a ottobre – mese in cui ricorre il quarantesimo anniversario dell’omicidio – chiede l’aiuto di quanti ancora vogliono sapere. Con una sottoscrizione dal basso: chiunque potrà finanziare il progetto versando la quota minima di 12 euro – il costo del dvd – on line oppure nelle sedi delle associazioni, degli enti e dei negozi che aderiscono. «Una posizione implicitamente politica – spiega Cascone – Una scelta civica».

Un film di poco meno di un’ora che mischia recitazione e reali testimonianze. «Porteremo lo spettatore nei luoghi in cui si muoveva Spampinato e dove è avvenuta la sua morte – anticipa – Si vedranno le case dei protagonisti, le strade che percorrevano a Ragusa. E’ la verità, inattaccabile, trasposta in video, anche didascalica se vogliamo. L’ora di Spampinato non è Il gattopardo di Visconti». Tante e diverse le voci del film: quelle dei testimoni depositate al processo per l’omicidio del giornalista – alcuni intervistati dal vivo, altri resi in video dagli attori -, quelle degli amici e di quanti in questi anni si sono occupati del suo caso, come il giornalista e saggista Carlo Ruta.


Prima pagina del quotidiano L’Ora di Palermo dedicata alla morte del suo corrispondente da Ragusa Giovanni Spampinato

«La figura di Giovanni cucirà il tutto – continua il regista – con articoli, lettere e ricordi. Alcuni di questi più poetici, in uno spazio intimo che ricreeremo con l’utilizzo della pellicola super8». Una visione soggettiva ricostruita in un precedente lavoro teatrale dal co-regista Danilo Schininà e dal giornalista Roberto Rossi. In mezzo, diversi innesti: «L’immagine del Duce a Ragusa nei titoli di testa per calare subito lo spettatore nell’immaginario fascista e spiegare le trame nere di quegli anni. Ma anche il Sanremo del 1972, lo stesso che Roberto Campria, l’assassino di Spampinato, diceva di vedere durante un altro omicidio, quello di Angelo Tumino». Un delitto che che ha dato inizio a tutto.

Giovanni Spampinato muore il 27 ottobre del 1972, raggiunto da sei colpi di pistola a bordo della sua Cinquecento. A sparargli è Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Motivi personali si dirà dopo. L’ombra della mafia e delle trame nere entra ed esce dalle indagini: lunghe, complicate, a tratti distorte, mai definite. Ma il nome di Campria non è nuovo negli ambienti giudiziari. E non solo per il mestiere del padre. Il ragazzo compariva già nelle indagini per la morte del trafficante di opere d’arte Angelo Tumino, avvenuta a febbraio dello stesso anno. La penna del giornalista è l’unica a rivelare il suo coinvolgimento in un’indagine che, tuttora, resta senza soluzione. Nei suoi articoli, però, Spampinato metteva in relazione Campria, Tumino, la criminalità organizzata e gli estremisti di destra impegnati insieme nel contrabbando di opere d’arte. Una delle attività illecite dei neofascisti indagate dal cronista, insieme alla stessa presenza a Ragusa di uomini legati a Junio Valerio Borghese, appena due anni dopo il colpo di Stato tentato dal Principe nero. E i loro rapporti con la mafia locale.

Un vespaio, in quella che era considerata la provincia babba, ancora oggi irrisolto. Di cui nessuno parla ma che tutti ricordano. «Alla famiglia Spampinato arrivano ancora lettere anonime – spiega il regista – Noi siamo figli di questa ipocrisia, ma adesso vogliamo sapere la verità. Non possiamo tenere questo scheletro nell’armadio». Per rendere giustizia al passato e, con questo, tutelare il presente. Entrambi «inquietanti»: «Come lo è un potere istituzionale, in cui siamo abituati ad avere fiducia, che non fa il suo lavoro – conclude Cascone – Non fare il proprio lavoro può uccidere tanto quanto un colpo di pistola. A inquietarci è l’impenetrabilità di chi giudica e l’impossibilità di poter giudicare chi giudica».


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