La moltiplicazione dei migranti per ottenere contributi pubblici Dalle fatture false avrebbero bevuto 15 litri di acqua al giorno

Migranti duplicati che bevevano 15 litri di acqua al giorno e indossavano scarpe da 150 euro al paio. Sono alcuni dei «meccanismi truffaldini» portati avanti per anni dalla Omnia Academy, l’associazione di promozione sociale con sede a Favara che in provincia di Agrigento gestiva il maggior numero di richiedenti asilo e il cui fatturato, nel giro di un anno, è passato da un milione e mezzo a cinque milioni di euro. Come quegli introiti fossero maturati tanto, lo ha svelato l’inchiesta della guardia di finanza che ieri ha portato a indagare sei persone per associazione a delinquere finalizzata alle truffe ai danni dello Stato.

Tra il 2011 e il 2016, quando il fenomeno delle migrazioni ha toccato la vetta con le primavere arabe, Omnia gestiva diversi centri Sprar tra l’Agrigentino e il Nisseno, in partenariato con vari enti locali. «Una ristretta organizzazione associativa criminosa», come l’ha definita nell’ordinanza il gip del tribunale di Agrigento Francesco Provenzano, al cui vertice ci sarebbe stato Francesco Morgante. Rappresentante legale e presidente del consiglio direttivo, per gli inquirenti è lui l’ideatore e il promotore del «sodalizio criminale», con a fianco la moglie Anna Maria Nobile. Vicepresidente di Omnia era Giovanni Ciglia, e sarebbe stato lui a curare i rapporti con i Comuni per concludere le convenzioni e i contratti, mentre il socio Giuseppe Butticè sarebbe stato responsabile dei pagamenti dell’associazione in quanto delegato ai conti correnti intestati all’associazione. Al fianco di Morgante, anche Alessandro Chianetta che avrebbe avuto il ruolo di controllare le strutture di accoglienza e impartire agli operatori le direttive dei vertici. Sarebbe toccato al ragioniere Massimo Accurso Tagano provvedere a sistemare la contabilità e aggiustare il bilancio per mascherare i presunti proventi illeciti maturati dall’associazione.

Contributi per oltre un milione e 316mila euro come somme del pocket money per l’accoglienza di migranti che erano presenti solo sui registri ma non nelle strutture tra l’Agrigentino e il Nisseno. A questo si aggiungono 911mila euro di fatture false per operazioni inesistenti. Negli elenchi delle presenze ci sarebbero state le firme false (o, in alcuni casi, non ci sarebbero nemmeno state) di richiedenti asilo o protezione umanitari che si trovavano altrove, addirittura anche in carcere. Altri migranti sarebbero stati, invece, addirittura duplicati: presenti contemporaneamente in più di una struttura o contati due volte all’interno dello stesso centro ma come appartenenti a due diversi progetti di accoglienza. Una moltiplicazione finalizzata a ottenere i contributi pubblici per la retta quotidiana e per l’erogazione dei servizi. E c’è anche il caso di migranti che sono risultati ospiti di una struttura chiusa già da oltre un anno.

Un altro escamotage messo in pratica per intascare soldi dello Stato sarebbero state le fatture false di cui non c’è mai traccia nella contabilità dell’associazione ma che risultano, invece, inserite nelle rendicontazioni finali ai Comuni. Precedenti o successive rispetto al periodo dell’accoglienza, le fatture sono da riferire a operazioni inesistenti. Come se non bastassero format diversi, loghi sfocati e numeri di partite Iva sbagliati, a confermare la falsificazione dei documenti sono stati anche i titolari delle società che hanno dichiarato di non avere avuto rapporti con Omnia e, soprattutto, di non avere mai ricevuto nemmeno un euro. Il caso più eclatante riguarda l’acqua minerale: per ogni migrante, sono stati rendicontati 15 litri di acqua al giorno. Vero che bere fa bene, ma trenta bottigliette (da mezzo litro) di acqua al giorno sono un po’ troppe per un essere umano. False sarebbero state anche le dieci fatture (per un totale di più di 34mila euro) per la fornitura di carne da una ditta con sede a Trapani. 

Dopo non averli dissetati e sfamati, i migranti bisognava anche non vestirli. Più di 345mila euro è il totale delle fatture risultate false che riguardano capi d’abbigliamento e calzature. In un negozio di Gela tra gli acquisti sarebbero risultate anche scarpe da 150 al paio. Peccato che sia stata la stessa titolare a confermare di avere chiuso l’attività anni prima, nel 2009. E false sarebbero stato anche tre fatture (per un totale di oltre 13.700 euro) a una ditta edile di Milano. In questo caso, nei documenti si fa riferimento a dei lavori eseguiti a Favara, Comune che però non era tra quelli aderenti al progetto di accoglienza a cui vengono riferiti i pagamenti. Per tutti gli indagati, il giudice ha disposto il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per un anno e l’obbligo di presentazione ai carabinieri due volte a settimana, in giorni da concordare


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