‘La mia voce contro il muro dell’odio’

Al centro di pesanti critiche dovute alla sua partecipazione con Mira Anwar Awad all’Eurovision Song Contest per rappresentare lo Stato d’Israele, la scelta di Noa non vacilla: «Questa collaborazione rappresenta un simbolo, un’alternativa per iniziare a dialogare». A parlare sono soprattutto le sue azioni, la sua passione con cui canta insieme alla cantante di origini arabe We can work it out.
Sul palco, la cantante israeliana si muove e ride assieme al suo chitarrista storico Gil Dor, che l’accompagna sin dai suoi esordi. Un ritorno a Catania per riproporre, ad un pubblico ristretto, il concerto che l’ha fatta conoscere alla Sicilia diciassette anni fa.
 
Durante le esibizioni, Lei si esprime non soltanto attraverso la voce. Quanto è importante nella sua musica la dimensione del corpo?
«In realtà è solo un movimento naturale, un’estensione naturale di quello che canto. L’unico “movimento” coreografico che utilizzo è quello di cui mi servo per due perfomance che riguardano l’ultimo album “Genes & jeans”, nelle quali ballo una danza nunziale yemenita. E questa è l’unica coreografia che ho imparato e che eseguo. Per il resto i miei movimenti nascono naturalmente».
 
Lei ha collaborato con molti artisti e si è esibita con Nabil Salameh dei RadioDervish e oggi con Mira Awad. Quanto hanno arricchito la sua musica queste collaborazioni?
«Queste collaborazioni sono state e sono molto importanti per me, non solo perché mi hanno dato la possibilità di incontrare delle grandi personalità ma anche perché ho potuto costruire dei rapporti importanti, con Nabil ho un’ amicizia molto importante: con lui ho discusso a lungo delle situazione del Medio Oriente. Ognuno di noi viene da una delle due parti e Nabil, di origine palestinese, mi ha raccontato tante cose e mi ha fatto cambiare il modo di pensare a determinate cose. È come se avessimo trovato un “centro”, un meraviglioso posto dove poter vivere la nostra amicizia. Lo stesso vale per Mira. Quest’ultima collaborazione la reputo particolarmente importante».
 
Perché è più importante delle altre?
«Perché rappresenta un simbolo. Quando ero giovane dicevo sempre che non volevo avere nulla a che fare con la politica. Oggi le cose sono diverse. Questi gesti hanno un effetto politico sulle persone, le può cambiare, può dar loro speranza e può modificare – qualche volta – il corso delle cose. C’è da dire che non è l’artista che cambia il mondo, ma l’artista può iniziare questo cambiamento, abbattere un muro. Ed assieme a tutte le altre istituzioni si può provare a cambiare il mondo. Noi artisti abbiamo l’obbligo di portarne la bandiera».
 
La sua prossima partecipazione all’Eurovision Song Contest a Mosca con Mira Awad ha suscitato delle critiche molto pesanti, alcuni hanno affermato che “Ogni mattone nel muro di questa falsa immagine permette all’esercito israeliano di lanciare altre dieci tonnellate di esplosivi e altre bombe al fosforo”. Lei cosa risponde?
«Beh, questa è un’opinione. Ovviamente non sono affatto d’accordo con questa affermazione. La situazione in Medio Oriente è molto complicata e questa invasione di Gaza ha soppresso molte voci da ambo le parti. Credo che entrambi, Israele e Palestina, hanno delle grosse responsabilità e nessuno è esente da colpe per non aver fatto e non fare abbastanza per raggiungere la pace. Puntare il dito l’uno contro l’altro sbilancia la realtà in modo tale da non permetterci di andare oltre, cercando di dialogare. Gli israeliani potrebbero dire “dopo tutte queste bombe sugli autobus, uccisioni di civili e assassini di israeliani ed ebrei, come può rappresentarci una ragazza araba (Mira Anwar Awad, n.d.r.) all’Eurovision?”. Noi non apparteniamo né all’una né all’altra corrente di pensiero: noi diciamo che molte cose terribili sono successe e il miglior modo per cancellarle è di ricordare, piangere, dire che è stato terribile, ma se non decidiamo di andare avanti non potremmo fare alcun progresso. Viviamo insieme in quel luogo, viviamo insieme nel Medio Oriente e dobbiamo trovare un modo per poter vivere in pace e non solamente in guerra. E così la collaborazione tra Mira e me rappresenta una delle alternative: le due parti non hanno scelto la violenza, la giustizia, il ricordare sempre il passato e il chiedere un risarcimento per esso; guardiamo al futuro. E questa è una cosa che possiamo raggiungere insieme: è il simbolo del nostro futuro».
 
Infine, che tipo di mondo desidererebbe per i suoi figli?
«Decisamente un mondo migliore. C’è troppa avidità. Credo che l’unico mondo possibile che possa dare un’opportunità è quello in cui tu non pensi troppo al tuo bene personale, devi capire che si è parte di una comunità, di una società e dell’umanità. Tutto quello che mi accade ha degli effetti sugli altri e viceversa. Se pensassimo tutti quanti di avere un solo corpo con dita, capelli, un solo corpo e non noi singoli individui, possiamo salvare il pianeta dagli orrori che noi abbiamo creato distruggendo ogni cosa e allo stesso tempo distruggendoci tra noi stessi, non provando compassione per l’altro. Quindi penso che “l’avidità” è la parola che vorrei cancellare; voglio aprire la porta alla compassione».


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