A Palazzo delle Aquile sono stati letti i nomi delle 128 piccole vittime di Cosa nostra. Partendo dalla storia del ragazzino ucciso 12 anni fa nel quartiere San Lorenzo. L'ex procuratore aggiunto Leonardo Agueci: «Il codice d'onore non esiste, momenti come questi servono a farlo capire a chi ancora crede diversamente»
La mafia uccide anche i bambini, il ricordo di Claudio Domino I genitori: «Ci siamo mossi diversamente dalla finta antimafia»
Claudio Domino aveva undici anni il 7 ottobre 1986. Si trovava assieme a due amici nel quartiere San Lorenzo di Palermo. La sua vita venne spezzata dall’arrivo di un killer che non esitò a aprire il fuoco contro di lui. Un delitto, dopo 32 anni, senza ancora una verità. E dal quale presero le distanze anche i boss di Cosa nostra, all’epoca dietro le sbarre durante lo svolgimento del Maxiprocesso. Persino Giovanni Bontade, fratello di Stefano (soprannominato il Principe di Villagrazia e ucciso il 23 aprile 1981) disse: «Siamo uomini, abbiamo figli, comprendiamo il dolore della famiglia Domino. Rifiutiamo l’ipotesi che un atto di simile barbarie ci possa sfiorare».
Il codice d’onore di Cosa nostra non permetteva di toccare i bambini ma così di fatto non è stato. «Per la mia conoscenza della mafia – racconta Leonardo Agueci, ex procuratore aggiunto di Palermo – il codice d’onore non esiste. Ci sono infiniti esempi in cui questo codice si è trasformato nel disonore. Credo che questi momenti servano a fare capire tutto questo a chi ancora crede diversamente». Le mafie negli anni, già a partire dal 1896 con l’uccisione della piccola Emanuela Sansone a Palermo, hanno mietuto decine di giovani vittime. Ed è con il nome della piccola Emanuela che si apre il libro Al posto sbagliato, storie di bambini vittime di mafia del giornalista crotonese Bruno Palermo, edito da Rubbettino Zonafranca. Un volume che in questi anni è diventato un vademecum delle piccole vittime della criminalità organizzata: 108 all’epoca della pubblicazione, ma che nel corso degli anni sono arrivate a 125.
I loro nomi hanno riecheggiato a Sala delle Lapidi, per bocca del regista Roberto Greco, impegnato all’interno della neobiblioteca sociale Nino Agostino e Ida Castelluccio. I genitori del piccolo Domino, Ninni e Graziella, hanno voluto ricordare loro figlio e gli altri 124 bambini uccisi dalle mafie durante un dibattito aperto alla cittadinanza dal titolo La vita negata, moderato dal conduttore radiofonico Mauro Faso. «Oggi non ricordiamo solo Claudio – sottolinea Graziella Accetta, mamma di Claudio – ma tutti i bambini uccisi dalle mafie. Sono bambini di non cui si parla. Da tre anni portiamo avanti questo impegno, soprattutto nelle scuole».
Nel corso degli anni furono diverse le ipotesi sul movente dell’omicidio del piccolo Domino. Dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Giovanbattista Ferrante – il quale sosteneva che il ragazzino era stato ucciso per aver visto confezionare della droga all’interno di un magazzino – al confidente Luigi Ilardo, ucciso nel 1996 e che prima di diventare collaboratore di giustizia aveva svelato che il giorno dell’assassinio di Claudio, nel quartiere di San Lorenzo, ci sarebbe stato anche un soggetto con la faccia da mostro. Ritorna cioè in questa vicenda il nome dell’ormai deceduto poliziotto Giovanni Aiello, il cui nome è stato legato ai tanti misteri italiani: anche quello relativo alla morte del poliziotto Nino Agostino, della moglie Ida Castelluccio e del piccolo che portava in grembo. Una figura discussa, che ha portato nella tomba innumerevoli verità.
«Per 30 anni non abbiamo chiesto nulla perché abbiamo deciso di non utilizzare il sangue dei propri cari per interessi personali – dice Ninni Domino – Abbiamo pensato a crescere i nostri due figli indicando non un percorso di vendetta bensì di cultura. È evidente che siamo rimasti in silenzio e abbiamo sbagliato perché non abbiamo fatto nessuna mossa giudiziaria. È stato un errore? Con il senno del poi credo di sì, per questo adesso ci prefiggiamo di iniziare questa battaglia. Penso che si possa intravedere la luce, forse perché gli attori principali sono usciti di scena. In ogni caso non potremmo essere mai soddisfatti del tutto, perché la morte di un caro non ha un prezzo. Ma pensiamo che abbiamo il dovere di indicare la strada dell’onestà agli altri con l’esempio. Ci siamo mossi diversamente dalla finta antimafia».
Su come siano state svolte le indagini il papà di Claudio ha le idee chiare e non si tira indietro. «Il dottore Francesco Accordino, in qualità di capo della sezione Omicidi della squadra mobile di Palermo, aveva individuato la giusta strada. Poi è stato trasferito e la sua squadra è stata smontata. Ci saremmo dovuti porre delle domande prima, ma il tempo è galantuomo. Magari tutto ciò apparterrà alla storia da consegnare ai giovani». E proprio Accordino, l’ex reggente della squadra mobile, ricorda quel tragico omicidio. «Portai avanti le indagini – racconta – con l’immagine di quel corpicino impresso nella mente. Ci furono tanti depistaggi ma voglio ricordare come Bontade per l’occasione avesse ammesso per la prima volta in un’aula giudiziaria che la mafia esiste, dissociandosi dall’omicidio del bambino. È una vicenda di mafia, dunque. Io ho arrestato Gabriele Graffagnino, che per me era l’autore dell’omicidio. Gli ho sequestrato a casa la pistola calibro 7,65, poi venne liberato ma Riina diede l’ordine di scoprire chi aveva ucciso Domino e di chi era la partita di droga. La mafia non guarda in faccia nessuno, ricordo ancora l’agguato del giudice Carlo Palermo e la vista dei due bambini Asta rimasti uccisi (Accordino fa riferimento alla strage di Pizzolungo, avvenuta il 2 aprile del 1985 … ndr)».