«La Mafia rinunciò alle strategie mimetiche»

Nella sua aula della Facoltà di Lettere di Catania, abbiamo intervistato il professore Salvatore Lupo, insegnante di Storia Contemporanea ed uno tra gli studiosi più importanti, a livello universitario, sulla Mafia.

Ecco i quesiti che gli abbiamo posto:
 
Perché si hanno le morti per mafia?
«”Morti per mafia”, innanzitutto, rischia di essere un’espressione troppo generica: per quanto possa sembrare cinico, forse potremmo distinguerle in  “morti eccellenti” (cioé omicidi di personalità della politica, della magistratura e della cosiddetta società civile) – come li definì Sciascia – e in omicidi comuni, dei quali sono vittima gli  stessi mafiosi. Per quanto riguarda le vittime eccellenti si è avuto, dalla fine degli anni ’70 fino agli inizi degli anni ’90, un periodo in cui la mafia colpiva platealmente i propri nemici o i propri ex-amici. Tra i primi, ricordiamo Falcone, Dalla Chiesa, Chinnici, La Torre o Terranova. Tra i secondi, si possono citare Nino Salvo come uomo d’affari o Salvo Lima come politico colluso. Da dieci anni abbondanti non abbiamo avuto più omicidi di questo tipo. Le vittime eccellenti si sono avute quando la mafia – per un lungo periodo – ha rinunciato alle sue strategie mimetiche, ha ritenuto di potersi fare potenza politica, influendo anche sulle decisioni politiche generali. Adesso la mafia sembra essere entrata in un’altra dimensione».

Qual è la vittima più ricordata? E perché?
«Gerarchizzare le vittime non mi sembra giusto, ma possiamo comunque distinguerle in categorie. Ci sono i magistrati, come Falcone o Chinnici, ci sono i politici come La Torre o Terranova. Ci sono stati in casi più rari dei giornalisti come Fava a Catania, Francese o De Mauro a Palermo».

I giovani conoscono i nomi delle vittime e le loro vicende?
«Credo sia fisiologico che la memoria di ogni evento si perda con il passare delle generazioni. Ricordo che nel ’92 l’impatto emotivo della strategia stragista della mafia, soprattutto sui giovani, fu fortissimo. Probabilmente – e forse è anche giusto – alla lunga l’emozione si va perdendo. E’ possibile, però, ed é doveroso che essa si sedimenti in coscienza civile. Perché ciò avvenga, bisogna intervenire con altri strumenti come la storiografia, l’insegnamento della Storia: ricordando alla collettività che ci sono stati dei personaggi positivi che si sono battuti per un ideale».

Quale il ruolo dei mass media a proposito di eventi mafiosi?
«Il loro ruolo è quello di sottolineare l’emergenza. Fanno grandi titoli sui fatti accaduti, che vengono presto dimenticati. Quando i fatti si ripropongono, altri titoloni, altro stupore, altra facile indignazione: come se fosse un’eterna prima volta. In questo modo si perde il senso della logica storica delle cose. E, perdendo la logica storica, si perde anche il senso stesso di quegli eventi, di quei protagonisti, di quegli anni: basta pensare alla figura di Falcone, al modo in cui é stata evocata – un modo banalmente retorico – spesso anche da coloro che lo avevano vilipeso quando era in vita».

A che punto è arrivata la lotta alla mafia, quali i successi e quali i fallimenti?
«Ci sono stati sicuramente dei successi: e non bisogna dimenticarli, perchè questo significherebbe tralasciare un pezzo di memoria. I successi da parte delle istituzioni, in particolar modo, seguirono al periodo più violento dell’attacco mafioso contro lo Stato, dopo il 1992. Ci furono successi sul piano della repressione, della legislazione penale, ma anche sul piano del costume e della critica politica e dell’opinione pubblica di massa nei confronti del sistema mafioso. Ci sono stati pure degli insuccessi come quello di non esser riusciti a debellare il fenomeno: insuccesso che viene costantemente dimostrato dagli episodi – anche se non eclatanti – di un ritorno della corruzione politica e della cattiva gestione del potere. La mafia oggi si riproduce in un modo sotterraneo perchè la società ed il sistema politico esprimono germi patogeni».

Come si sta evolvendo il rapporto fra mafia, politica ed economia?
«Innanzitutto non esiste mafia se non c’è un rapporto con la politica e l’economia, altrimenti avremmo un fenomeno diverso di criminalità organizzata (o, forse, si potrebbe in quel caso addirittura parlare di criminalità disorganizzata). La mafia fornisce dei servizi alle imprese ed al sistema politico. Dopo il ’92, in Sicilia, c’è stato un riavvicinamento della politica alla criminalità. Allo stesso modo si sta verificando nuovamente il rafforzamento dei legami tra criminalità e imprese».

La mafia sembra avere un certo ‘appeal’ sulla rete. C’è infatti anche un sito dove si possono ascoltare le registrazioni degli spari e votare addirittura i capi mafiosi ‘favoriti’, lei cosa ne pensa?
«Sembra più un tentativo di spettacolarizzazione del fenomeno mafioso. Il Web è un luogo in cui tante cose sono concesse: è normale che vi si trovino eccessi, chiamiamoli così, di comunicazione».

Dobbiamo ancora portarci addosso il luogo comune Sicilia = Mafia, quando siamo all’estero?
«Gli stereotipi sono difficili da cancellare ed è facile che i siciliani li debbano  portare addosso ancora per molto tempo. E gli stereotipi sono, soprattutto, semplificazioni eccessive di realtà complesse e sfumate: ci sono siciliani mafiosi, nella nostra realtà, ma sono anche siciliani nemici della mafia».

Ci sono speranze per le nuove generazioni di un cambiamento di mentalità che apra la strada ad una svolta in positivo?
«Non ci vuole una speranza, ci vuole un impegno. L’impegno è quello di un cambiamento di mentalità, di comportamenti nel campo politico, economico, culturale, sociale. Detto così, sembra un elenco schiacciante invece la mia prognosi è positiva perchè la lotta contro la Mafia va di pari passo con la crescita della civilizzazione, della convivenza. E se noi – che non siamo magistrati o poliziotti – ci impegniamo verso la direzione di una politica trasparente, di una economia trasparente, una socialità degna di essere vissuta, perseguendo obiettivi positivi, creando un meccanismo democratico credibile, la Mafia ridurrà necessariamente la sua incidenza nella società. Se invece ci dimostriamo tolleranti, acquiescenti e non ci poniamo i problemi relativi ad un miglioramento collettivo allora si potrebbe avere un ritorno ai tempi peggiori».

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