La mafia è bianca

Mercoledì 30 novembre, in vista delle primarie che si svolgeranno domenica 4 dicembre, i comitati “Rita Borsellino Presidente” di Giarre e Riposto hanno proiettato, al Cinema Musmeci (Riposto), il film-documentario “La Mafia è bianca” di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini.
I due ex inviati di “Sciuscià” rilanciano in grande stile il giornalismo d’inchiesta: fatto di documenti, di luoghi, di persone, di inquietanti interrogativi sull’oscuro intreccio fra mafia e politica nella nuova stagione del potere.

Quasi 2 ore di reportage, con intercettazioni telefoniche, dichiarazioni dei pentiti e interviste scomode che ricostruiscono perfettamente le inchieste della procura di Palermo durante il processo “Aiello + 13” (2005), che svela i rapporti tra Cosa Nostra, la politica e la sanità.
Sì, perché è proprio la sanità siciliana il filo conduttore del documentario; si parla di ospedali e cliniche private, veri e propri gioiellini, come Villa Santa Teresa di proprietà dell’ ing. Michele Aiello, e di ospedali pubblici mai ristrutturati, dove scarseggia il personale e i pazienti sono costretti ad ore ed ore d’attesa prima di essere visitati.
Tutto questo accade oggi che la mafia ha cambiato volto. Ha cambiato i propri interlocutori. Non fa più rumore, non si sporca le mani di sangue, ma si insinua negli ospedali, tra gli imprenditori e il mondo politico-istituzionale.
L’anno di riferimento è il 1993, anno in cui il boss Totò Riina viene arrestato e nelle tasche dei suoi pantaloni vengono trovati alcuni “pizzini”, messaggi manoscritti, sui quali compariva un nome, quello di Aiello, un luogo, Altofonte e il nome di una contrada, cava Buttitta.
Così la pista si dilaga lungo il filo dei rapporti ambigui tra Cosa Nostra e i ‘colletti bianchi’ siciliani, ed ecco uscir fuori i nomi di Michele Aiello, proprietario di Villa Santa Teresa e di altri centri all’avanguardia di Bagheria, il re della sanità privata in Sicilia, accusato di associazione mafiosa e presunto prestanome del super latitante Bernardo Provenzano (il capo di Cosa Nostra); Totò Cuffaro, detto ‘vasa vasa’ , amico di Aiello, esponente dell’Udc, dal 2001 presidente della regione Siciliana, sotto processo per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra; il boss Giuseppe Guttadauro, medico, capo del mandamento palermitano di Brancaccio , anche lui condannato per associazione mafiosa; l’amico Salvatore Aragona, medico, che insieme con Guttadauro sarà protagonista di pagine e pagine di intercettazioni telefoniche dal 2001 al 2003; oltre al nome di Cuffaro i due parleranno di Mimmo Miceli, medico, sotto accusa per concorso esterno in associazione mafiosa, Antonio Borzachelli, deputato regionale dell’Udc, Nino Giuffrè, ex braccio destro di Provenzano; Nino Dina, capogruppo dell’Udc all’Assemblea regionale siciliana e tanti altri.
 
Si ricordano poi, nel corso del film, l’assassinio di Paolo Giaccone, medico chirurgo che si rifiutò di prestare favori alla mafia; alcune immagini della commemorazione di Giovanni Falcone del 23 maggio 1992 al quale Cuffaro non prese parte perché impegnato nella campagna elettorale a Portirico; del piccolo Di Matteo, il bambino sequestrato da Enzo Brusca e Chiodi, poi disciolto nell’acido.
 
Purtroppo Guttadauro e Aragona vennero a conoscenza delle microspie presenti nel salotto del Guttadauro, da dove venivano intercettate tutte le telefonate incriminanti così anni e pagine di inchiesta andarono in fumo.
 
Oggi, dopo la fine della stagione stragista, rimane la mafia “bianca”, quella silenziosa, che ha rafforzato i suoi ganci interni e che ha fatto della sanità lo strumento con cui costruire il consenso elettorale.

Luisa Salici

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