I due centri dell'Isola sono rispettivamente al primo e terzo posto nella classifica dell'Agenzia per la coesione territoriale. Che unisce al parametro della desertificazione quello della fragilità sociale ed economica. I progetti dei sindaci, «ma senza illusioni», dicono
La fotografia dello spopolamento di 245 Comuni siciliani A Lentini e Licata fondi per quasi due milioni in tre anni
Com’era la Sicilia a inizio anni Ottanta? La fotografia elaborata dal Centro Studi Enti Locali non lascia dubbi: con più cittadini. I ricercatori hanno confrontato i cambiamenti registrati tra il 1981 e il 2019, quasi 40 anni in cui sono ben 245 – su 391, più del 60 per cento – i Comuni dell’isola che hanno subito uno spopolamento. Per lo più piccoli centri, dove i cittadini hanno fatto le valigie a vantaggio delle vicine città, con una maggiore offerta di servizi. Ma non solo, se si considera che nella classifica nazionale delle aree desertificate si piazzano in alto città come Catania (che ha perso 84mila abitanti, il 22 per cento della sua popolazione) e Palermo (meno 54mila persone, l’8 per cento). Unico segno positivo, seppur piccolo, tra i capoluoghi di provincia siciliani si registra a Siracusa: scelta da 1.400 cittadini in più (l’1 per cento). La classifica fa il paio con quella dell’Agenzia per la coesione territoriale che ha incrociato i dati sullo spopolamento con quelli della fragilità sociale ed economica per individuare i Comuni italiani più a rischio da finanziare, come aiuto per invertire il trend. E qui sul podio si trovano ben due centri siciliani: Lentini e Licata. Che riceveranno rispettivamente oltre 924mila e 850mila euro ripartiti in tre anni. In mezzo c’è San Severo, nel Foggiano.
«C’è un problema enorme legato alla differenza di opportunità – commenta Veronica Potenza, responsabile editoria del Centro Studi Enti Locali durante il programma radiofonico Direttora d’Aria in onda su Radio Fantastica e Sestarete Tv – Un’emergenza trasversale che è tra i fenomeni maggiormente affrontati nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza». Nonostante i dati dicano che tra Nord e Sud del Paese il numero dei centri che si è spopolato tra 1981 e 2019 sia sostanzialmente simile – il 44 per cento – la maggior parte delle risorse sono state destinate al Mezzogiorno. Il motivo va cercato negli altri fattori che sono stati presi in considerazione per la distribuzione dei contributi: l’indice di vulnerabilità sociale e materiale e il livello di reddito delle popolazioni. «Il Pnrr rappresenta un’opportunità epocale che può davvero avviare un percorso in controtendenza con ciò che si è registrato negli ultimi decenni – continua Potenza – È vero, non bastano singoli contributi economici, ma le risorse che il piano metterà a disposizione anche in altri settori, come la digitalizzazione, potrebbero creare le condizioni per incidere nelle scelte degli individui. Mi viene da pensare – conclude la responsabile editoria del Centro studi enti locali – al lavoro da remoto o ai servizi legati alla telemedicina, che rendono possibile fare un esame anche in un paesino distante dai grandi ospedali».
Ma come verranno usati i soldi del ministero nei due centri che maggiormente potranno usufruire di questo aiuto? L’iniziativa prevede che possano essere destinati per riqualificare immobili da concedere in comodato d’uso per l’apertura di attività, ma anche come contributi per l’avvio di iniziative lavorative nel campo commerciale, artigianale e agricolo oppure come sostegno alle spese di acquisto di immobili da ristrutturare per trasferire la propria residenza. Una possibilità, quest’ultima, che negli ultimi anni è stata colta da diversi enti – soprattutto piccoli borghi – con il fenomeno delle case a un euro e che in questo caso si attesta con un piccolo beneficio di massimo cinquemila euro a richiedente.
A Lentini, l’amministrazione guidata dal sindaco Rosario Lo Faro sta già pensando come impiegare i fondi. «L’obiettivo è quello di evitare di distribuire contributi a pioggia che a poco servirebbero sul lungo termine – spiega il primo cittadino – La nostra idea è quella di investire nel quartiere San Paolo, nel centro storico della nostra cittadina, in passato animato dal Castrum fest, un interessante festival medievale. Proveremo a riqualificare gli immobili per poi metterli a disposizione di chi vorrà rilanciare l’artigianato. Il che potrebbe anche diventare volano per il turismo». Stanziate le somme, però, agli enti verrà chiesto di redigere progetti coerenti con le linee guida del ministero e al contempo di dimostrare di riuscire a spendere e rendicontare le risorse nei tempi previsti (sei mesi dall’annualità precedente). Obiettivi tutt’altro che scontati. «Purtroppo il nostro ente vive le difficoltà di quei Comuni che sono da anni in dissesto economico e dunque con l’impossibilità non solo di assumere ma anche di rivolgersi a esperti esterni – ha ammesso Lo Faro -. Abbiamo una pianta organica deficitaria, con tanti dipendenti part time. Tuttavia cercheremo di farci trovare pronti».
Chi non teme passi falsi dal punto di vista amministrativo, ma si dice pessimista sulle reali opportunità di frenare lo spopolamento è il sindaco di Licata Pino Galanti. «Poter beneficiare di un contributo di oltre 850mila euro resta comunque una possibilità da cogliere ed è quello che faremo – commenta – ma sono cifre che non consentono di fare miracoli. Proveremo a dare alla cittadinanza un’offerta in più». Quella di Galanti è una riflessione ad ampio raggio: «Licata è sempre stato un territorio di migrazioni, tanti nostri concittadini nei decenni passati si sono trasferiti all’estero, dagli Stati Uniti al Belgio. Dico questo – continua – per sottolineare che in un mondo interconnesso, come quello che viviamo oggi, specialmente per i giovani l’idea di formarsi altrove e vivere la propria vita in più luoghi è qualcosa di naturale e sempre più alla portata». Per coloro che, invece, per senso di appartenenza o desiderio di rimanere vicino ai propri affetti, vorrebbero avere la possibilità di scegliere Licata come luogo in cui vivere, il problema principale resta il lavoro. «Il nostro territorio ha, tra le altre, una vocazione agricola che in passato ci consentiva di avere un ruolo importante sui mercati, grazie alle primizie e ai prodotti di qualità. Ma per coltivare – va avanti Galanti – serve l’acqua e Licata oggi è in testa anche alle classifiche riguardanti il rischio desertificazione. Quindi ben venga il contributo del ministero, ma la diga Gibbesi, grande incompiuta della Sicilia, servirebbe molto di più a difendere il diritto a restare a Licata».